Aversa – “Condannata a morte” dallo Stato anche se la pena di morte in Italia non esiste. E’ quanto accade ad Adele Iavazzo, trentaseienne cittadina aversana che, affetta da una malattia conosciuta e riconosciuta in tutto il mondo, in Italia non può ricevere le cure che potrebbero migliorare la sua qualità di vita, se vita si può definire quella di un essere umano costretto a restare chiuso tra quattro mura, senza poter accendere una lampada né un qualsiasi apparato funzionante elettricamente e senza poter avere alcun tipo di contatto con l’esterno, e non può ottenere l’aiuto necessario a recarsi lì dove la sua malattia potrebbe essere curata.
Lo Stato, quello stesso che garantisce ogni giorno assistenza medica e personale a migliaia di profughi e rifugiati che arrivano sui barconi dai paesi africani, ha detto no alla sua richiesta di aiuto condannandola, così, ad una morte che avverrà lentamente e tra mille sofferenze.
Considerando che la percentuale di Italiani ammalati di Mcs è pari al 10 per cento in forma lieve e all’1 per cento in forma grave o gravissima viene logico chiedere se lo Stato Italiano sia definibile killer o stragista. Forse ha semplicemente sottovalutato il problema ma la domanda viene spontanea ascoltando quanto afferma Giuseppe Genovesi, il medico che combatte da anni per sconfiggere la Mcs e segue l’evoluzione della malattia di Adele da circa dieci anni.