Al termine di una complessa attività investigativa, coordinata dalla Procura di Napoli Nord, i finanzieri del gruppo di Aversa hanno eseguito 34 ordinanze di misure cautelari – di cui 10 di custodia in carcere, 7 degli arresti domiciliari e 17 dell’obbligo di dimora – nonché sequestri preventivi di beni nella disponibilità degli indagati, per un valore di circa 35 milioni di euro, tra beni immobili, autoveicoli di lusso (una Ferrari, una Porsche Cayenne e due Range Rover), rapporti finanziari e quote societarie.
Le persone destinatarie delle ordinanze – residenti tra Frignano, Villa di Briano, Casal di Principe, San Cipriano d’Aversa, San Marcellino, Casaluce ma anche fuori dalla Campania – sono accusate di aver costituito e/o di appartenere a due distinte associazioni criminali, con basi logistiche nell’Agro Aversano, specializzate: nella sistematica emissione di fatture per operazioni inesistenti relative alla fornitura di materiale edile; nel riciclaggio, autoriciclaggio e reimpiego in attività economiche dei connessi e cospicui proventi illeciti derivanti dall’attività criminale, utilizzando a tale scopo un gruppo di società “cartiere” intestate a compiacenti prestanome e altre società create al solo scopo di far circolare e riciclare i relativi flussi finanziari.
In carcere: Vincenzo Ferri, 38 anni, residente a Frignano; Guglielmo Di Mauro, 45, residente a Frignano; Vincenzo Cacciapuoti, residente a Frignano; Salvatore Dell’Imperio, 34, residente a Villa di Briano; Raffaele Capaccio, 28, residente a Frignano; Nicola Madonna, 36, residente a Casal di Principe; Nicola Liccardo, 34, residente a Casaluce; Marcellino Santagata, 36, residente a Casaluce; Gaetano Marzano, 54, di Napoli; Carlo Stabile, 55, residente a Cancello ed Arnone. Ai domiciliari: Saverio Di Tella, 40, residente a Villa di Briano; Matteo Dell’Imperio, 64, residente a Villa di Briano; Ludovico Matteucci, 30, residente a Trentola Ducenta; Luigi Sabatino, 43, residente a Frignano; Alberto Di Mauro, 22, residente a Frignano; Alberto Di Mauro, 76, di Frignano; Luigi Zammariello, 45, residente a San Marcellino. Obbligo di dimora: Angelo Capaccio, 36, residente a Frignano; Angela Conte, 27, residente a Villa di Briano; Antonio Conte, 49, residente a Villa di Briano; Michele Conte, 28, residente a Villa di Briano; Vincenzo Diana, 36, residente a San Cipriano d’Aversa; Adriana Esposito, 34, residente a Trentola Ducenta; Giovanna Giglio, 28, residente a Casaluce; Antonio Laudante, 52, di Villa di Briano; Giuseppe Mainolfi, 43, residente a Casalnuovo; Ciro Pariota, 41, di Napoli; Virginia Ranieri, 24, , residente a Cineto Romano; Gennaro Silvestro, 25, residente a Casaluce; Giuseppe Spinosa, 53, residente a Casaluce; Teodosio Torero, 32 di Aversa; Salvatore Vatiero, 44, residente a Trentola Ducenta; Giuseppe Zaccariello, 40, residente a Villa Literno. Sequestrate le società: “Edilizia srl”, con sede legale a Roma e luogo di esercizio a Casaluce; “Edil Commercio srl”, con sede legale a Napoli; “Edil Mat srl”, con sede legale a Frignano; “Tecnica Costruzioni soc. coop. di produzione & lavoro”, con sede legale ad Altopasio (Lucca); “Sitec srl”, con sede legale a Frignano.
L’attività di indagine, espletata in coordinamento investigativo con le Direzioni distrettuali antimafia di Napoli e di Firenze, ha consentito di individuare 6 società “cartiere”, con sede a Roma e nelle province di Lucca e Caserta, che – secondo l’ipotesi accusatoria avvalorata dal gip – nel periodo 2009/2016, hanno emesso fatture per operazioni inesistenti, per oltre 100 milioni di euro, a favore di 643 imprese beneficiarie della frode ed effettivamente operanti nel settore edile nell’intero territorio nazionale, prevalentemente nella Regione Campania, ma anche nelle Marche, in Toscana, Emilia Romagna, Lazio ed Umbria.
L’emissione delle misure cautelari costituisce il risultato di un’articolata indagine che ha consentito, anche con il supporto di attività tecniche di intercettazione, di delineare compiutamente le strutture associative e di individuare il modus operandi delle stesse e i diversi ruoli e responsabilità in capo a ciascun sodale. E’ così emerso dall’attività investigativa che le società edili, dislocate in diverse province italiane, per simulare l’effettività delle operazioni commerciali, pagavano il corrispettivo, tramite bonifici bancari, alle società “cartiere” riconducibili ai promotori delle due associazioni criminali, che di contro emettevano le false fatture di vendita.
Successivamente le “cartiere” rimettevano le intere somme ricevute su conti correnti intestati ad altre ditte/società di comodo, le quali le trasferivano ulteriormente, mediante operazioni di giroconto e ricariche di carte “Postepay Evolution”, ai numerosi sodali addetti alle operazioni di prelievo. Tutto il contante prelevato, secondo la ricostruzione accusatoria, veniva poi consegnato ai promotori delle organizzazioni tramite alcuni referenti, veri e propri “capi squadra” del riciclaggio. I promotori, trattenuta una percentuale di guadagno per il “servizio” criminale reso (dal 12% al 22% dell’imponibile delle fatture emesse), restituivano sempre in contanti la restante parte agli imprenditori che avevano disposto i bonifici iniziali.
Tale complesso metodo di ripulitura del denaro è stato agevolato anche dalla connivenza di un funzionario infedele dell’istituto bancario dove erano stati accesi i conti correnti di tutte le cartiere, il quale, pur essendo a conoscenza dell’origine illecita delle risorse finanziarie, prestava la propria autorizzazione all’effettuazione di operazioni non in linea con le corrette procedure bancarie, aderendo agli ordini direttamente impartiti, anche telefonicamente, dai sodali ed astenendosi, di conseguenza, anche dalla dovuta segnalazione delle operazioni ai fini della normativa antiriciclaggio.
Attraverso tale sistema fraudolento le società beneficiarie ed utilizzatrici delle fatture false hanno usufruito degli indebiti risparmi d’imposta derivanti dalla contabilizzazione di costi fittizi nonché della relativa Iva a credito, potendo inoltre disporre di fondi neri costituiti dal denaro liquido, per la parte a loro restituita in maniera non tracciata. La svolta investigativa è stata poi possibile anche grazie all’individuazione di un ufficio amministrativo occulto in cui venivano pianificate le operazioni e gestito l’intero flusso documentale e finanziario. In questo locale avveniva quotidianamente lo scambio del denaro tra i “capi squadra”, i vertici dell’organizzazione e gli imprenditori utilizzatori delle fatture false che avevano disposto a monte i bonifici. La perquisizione della sede occulta ha quindi consentito di sottoporre a sequestro copiosa documentazione contabile ed extracontabile, copia delle fatture false emesse, nonché circa 110 mila euro di denaro contante, cristallizzando, di fatto, l’intero impianto accusatorio.
L’analisi della documentazione e le indagini finanziarie hanno consentito, infine, di accertare come i due gruppi criminali individuati fossero in grado di riciclare, attraverso vorticosi giri di prelievi, ricariche “Postepay” e “Postagiro”, di oltre 200 mila euro al giorno. Infine, dall’esito degli approfondimenti fiscali effettuati, sono stati contestati alle organizzazioni criminali proventi illeciti per oltre 13.500.000 euro e un’Iva evasa per oltre 25 milioni euro.
Il filone toscano e l’appalto all’Asl 3 di Napoli Sud – Esiste, inoltre, un filone toscano dell’indagine. Dalle investigazioni, coordinate dal procuratore capo Giuseppe Creazzo e dal sostituto procuratore Giulio Monferini, è emerso che l’organizzazione criminale con base nell’agro aversano emetteva fatture false o costituiva aziende fittizie in modo da aggiudicarsi gli appalti pubblici raggirando le norme in materia. Il gruppo si sarebbe aggiudicato oltre 50 commesse della Asl 3 di Napoli Sud, per lavori di somma urgenza e “cottimi fiduciari”, banditi per importi al di sotto di valori soglia oltre i quali sarebbe stato necessario imbastire formale gara di appalto. In questo modo, l’invito a partecipare veniva sistematicamente effettuato ad imprese, riconducibili al sodalizio, le quali, a turno, risultavano aggiudicatarie dei lavori. Le opere però non venivano realizzate e il denaro derivante dagli appalti veniva distribuito tra i membri del gruppo malavitoso. Alcune delle persone arrestate sono ritenute affiliate alla cosca mafiosa dei casalesi “fazione Michele Zagaria”, notoriamente radicata nel casertano (Casapesenna, San Cipriano D’Aversa, Trentola Ducenta, San Marcellino) e con ramificazioni in Toscana, nel Lazio e in Emilia Romagna, da sempre caratterizzata per il suo particolare attivismo nel mondo imprenditoriale e nel settore degli appalti pubblici.
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