Aversa, gazebo prima autorizzato e poi fatto demolire: titolari Pink House chiedono risarcimenti

di Redazione

da “Osservatorio Cittadino” (di Emidio Oliva) – Aversa (Caserta). L’incredibile vicenda del “Pink House” dei fratelli Vitale che, dopo aver regolarmente realizzato il gazebo, dinanzi al noto bar-pasticceria di viale Kennedy, con tanto di permesso rilasciato dal Comune, dopo due anni si sono visti revocare il titolo dallo stesso Comune e ritenuti abusivi.

La particolare vicenda, complessa ma di sicuro peculiare, ci ha indotto ad approfondire le cose e fare chiarezza rispetto a informazioni talvolta sommarie e parziali che non hanno affatto restituito un quadro completo dei fatti, spesso, anzi, fuorviato da incontrollate notizie non sempre veritiere. La querelle ha avuto inizio oltre sei anni fa, nel 2017, quando i titolari del Pink House, per consentire di gustare le note specialità aversane comodamente seduti al tavolo all’esterno, verificata la fattibilità e l’assentibilità, chiedevano al Comune di Aversa apposito permesso di costruire, che l’ente, ovviamente dopo l’istruttoria di rito, rilasciava in data 10 agosto 2017 e così l’opera vedeva la luce.

Dopo quasi due anni, e precisamente nell’aprile 2019, sulla scorta dell’esposto di un terzo, che lamentava una violazione in termini di distanze (di qualche decina di centimetri), il Comune ci ripensava e annullava il titolo, ordinando la rimozione. Nonostante, dunque, aver pagato tecnici, impresa e quant’altro necessario e soprattutto aver realizzato esattamente quanto concesso con il titolo ottenuto, i fratelli Vitale si ritrovavano, loro malgrado, ad essere tacciati di abusivismo, cosa in ogni caso evidentemente non vera in quanto l’ordinanza di rimessa in pristino mai è stata emessa – coma solitamente avviene – per aver realizzato opere senza alcun titolo o in difformità ma sol perché, avendo il Comune “ritirato” il permesso, l’opera si è ritrovata, ovviamente, ad essere “senza titolo”.

Già tale circostanza rende evidente come il Pink House non solo non abbia mai neanche lontanamente realizzato alcun abuso edilizio ma fosse invece del tutto vittima, come del resto potrebbe esserlo chiunque laddove gli venga prima rilasciato un titolo e poi tolto dopo la realizzazione, del ripensamento, dopo quasi due anni, da parte del Comune. Anni di causa non hanno esaurito la vicenda giudiziaria se è vero che da un lato prima il Tar ha confermato l’ordinanza di rimessa in pristino poi il Consiglio di Stato ha invece accolto (due volte) la cosiddetta sospensiva ed infine ha poi confermato la sentenza negativa del Tar, dall’altro lato è altrettanto vero che l’annullamento a distanza di quasi due anni, a prescindere dalle ragioni per cui avviene – e che il giudice amministrativo può anche ritenere valide – è di per sé fonte di risarcimento.

Detto, infatti, che i fratelli Vitale sono sempre stati rispettosi dei provvedimenti comunali e delle pronunce giudiziarie tanto che, esaurita la fase di merito dinanzi il Consiglio di Stato nel gennaio 2024, e divenuta efficace la rimessa in pristino fino ad oggi rimasta sospesa dallo stesso Consiglio di Stato, hanno loro stessi rimosso il gazebo senza attendere l’intervento forzato da parte dell’Ente, appare innegabile come nessuna violazione può ad essi essere imputata, avendo operato – senza mai compiere difformità – in forza di un titolo regolarmente rilasciato e che l’amministrazione, solo dopo la realizzazione, ha deciso di revocare.

“Ci siamo mossi sempre rispettosi verso la legge, ma ci sentiamo più vittime che carnefici di questa situazione. – ha dichiarato Enzo Vitale – È come se il Comune ti desse il permesso di costruire una casa e dopo lo revocasse. In più, la nostra immagine è stata danneggiata dalle testate che ci hanno trattato da abusivi, riportando notizie assolutamente non vere. Per noi è un onore essere ospiti della città di Aversa e tutto ciò ci ha molto indignato”.

L’avvocato Fabrizio Perla, amministrativista che assiste la società, da noi interpellato, dopo aver anch’egli rimarcato “la profonda differenza tra il realizzare opere senza titolo, dunque abusivamente e il ritrovarsi invece ‘abusivi’ per annullamento del titolo precedentemente concesso dall’Ente” come accade per il Pink House, ha ricordato: “Quello dell’annullamento dei titoli rilasciati dal Comune e poi annullati è effettivamente un delicato tema sul piano risarcitorio che nei casi di intervento successivo, a distanza di tempo, si pone anche a prescindere dalla stessa sussistenza o meno dei presupposti per il rilascio. Ci sono casi, come la recente sentenza del Consiglio di Stato numero 1936/2024, peraltro riguardante proprio il Comune di Aversa, che pongono con forza proprio tale profilo e non è certo l’unico caso di azione risarcitoria generata da annullamento in autotutela”.

Siamo certi, pertanto, che la vicenda appare ben lontana dalla parola fine, con ciò credendo di aver comunque fornito, in questa sede, un contributo alla corretta ricostruzione dei termini della vicenda, talvolta troppo spesso sommariamente liquidata con generiche e sommarie “sentenze” di colpevolezza, tuttavia lontane dalla realtà dei fatti, finendo addirittura per capovolgerli e ledere l’immagine di chi seriamente fa il proprio lavoro arrecando lustro alla stessa città di Aversa, come il Pink House.

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