ROMA. Per Romano Prodi il 2007 “sarà l’anno delle riforme economiche”. Ma quali sono queste riforme? Quali le basi peril”cambiamento” tanto sbandierato dal premier?
ROMA. “Il 2007 sarà l’anno delle riforme economiche”. Lo ha dichiarato il premier Romano Prodi negli ultimi giorni, aggiungendo che lui governa per “cambiare l’Italia”. Obiettivo che tutti gli italiani auspicano sia realizzato anche se gli stessi italiani vorrebbero sapere di più dal capo del Governo circa questo suo progetto di cambiamento del Paese. Quali sono le riforme in programma? Avremmo il diritto di saperlo. “C’è un po’ di arroganza”. Ho messo questa frase virgolettata perché non è il sottoscritto a dirlo, ma Valentino Parlato sul “Manifesto” di domenica scorsa, riferendosi all’atteggiamento di Prodi. Critico è stato anche Massimo Riva, sul “L’Espresso”, scrivendo: “Prodi non può continuare a ripetere il ritornello secondo cui ci vorrà un pò di tempo e che poi il Paese capirà che il governo sta agendo per il meglio e per il bene di tutti”. Cito due giornalisti notoriamente di sinistra, che stimo pur essendone distante per cultura e posizione politica. E lo faccio perché il lettore non abbia dubbi sulla mia serenità di giudizio.
Ciò premesso, vediamo un pò di capire, se ci riusciamo, come il governo Prodi potrebbe cambiare questo nostro Paese. La Finanziaria appena approvata fortunosamente dalle Camere non aiuta certo a capirlo, essendone venuta una legge che persino il Capo dello Stato ha giudicato pessima, così pasticciata e assurda da non ripetere più. Confindustria l’ha bocciata considerandola addirittura eccessiva. Da notare che il suo presidente, Montezemolo, era sembrato fino a qualche mese fa in sintonia con Prodi. È stato messo in riga, si direbbe, dal suo Centro Studi, che non ha potuto fare a meno di annotare che la manovra di Prodi/Padoa Schioppa “non è stata costituita in direzione della crescita”. Dichiarazioni che hanno irritato molto il Governo. Quelle di Napolitano hanno costretto Prodi a cavarsela promettendo una riforma prossima ventura della Finanziaria; quelle di Confindustria hanno adirato il ministro dell’Economia Padoa Schioppa, che ha accusato il sindacato degli imprenditori di comportarsi come un partito. Una reazione, quest’ultima, davvero sorprendente da parte di un tecnico con un passato in Banca d’Italia, Consob e Banca Centrale Europea, che lo aveva fatto considerare, prima d’essere chiamato al governo, tutt’altro che dirigista.
Ma torniamo alle riforme economiche di Prodi. C’è da esserne preoccupati, considerando i “soci” che il premier si ritrova al governo. Tra Rifondazione di Bertinotti e Giordano, i Comunisti italiani di Diliberto, i Verdi di Pecoraro Scanio, i Salvi e i Mussi dei Ds, qualche ex democristiano della Margherita nostalgico di La Pira, non c’è certo da sperare in una “Fase 2”, come l’ha definita Rutelli. Il libero mercato, come è noto, non fa parte della cultura economica né della sinistra comunista o ex comunista, né della ex sinistra democristiana. È significativa a tal proposito una lettera del 1950 che Einaudi, allora Presidente della Repubblica, inviò a La Pira (definito il “Comunista Bianco”), il quale aveva pubblicato un articolo intitolato “Difesa della povera gente”, in cui diceva di ispirarsi ai “santi padri”, sostenendo tesi demagogiche e irragionevoli. Einaudi, in quella lettera, cercò di spiegare a La Pira le regole e la logica dell’economia. Una lezione impareggiabile: “Il ministro del Tesoro – scriveva Einaudi – che non riflette alle conseguenze inesorabili di una sua condotta imprudente, non dà pane e cibo a nessuno, ma toglie pane, cibo, vestiti e casa a coloro che hanno più bisogno”.
Quanto c’è di liberale nell’attuale politica italiana? In questo momento proprio nulla, anche se, come scrive in un bell’articolo Dino Cofrancesco sul Riformista, “oggi almeno l’ottanta per cento della sinistra si proclama liberale”, il che la dice lunga sulla confusione, l’ipocrisia e gli sbandamenti che caratterizzano l’Italia.