ROMA. All’indomani delle dimissioni di Romano Prodi, a seguito del voto sulla politica estera al Senato, si sprecano riflessioni sulle cause dello sfacelo (“tradimenti” e “complotti”) e su cosa ora succederà (“governi di larghe intese” o “elezioni immediate”).
Sul primo punto, appare evidente che i “tradimenti” (se poi così vogliamo chiamarli) c’entrano poco con quello che è accaduto ieri. Anche se Franco Turigliatto (Rifondazione) e Fernando Rossi (Comunisti Italiani) avessero votato a favore della mozione presentata da D’Alema non sarebbero stati sufficienti a salvarla, poiché i presenti sarebbero saliti a 321 e il quorum a 161, mentre i favorevoli sarebbero passati da 158 a 160. Non ci sarebbero stati comunque i numeri. Pertanto, la sinistra radicale (Prc, Pdci, Verdi) non ha alcuna colpa. La colpa è di tutta l’alleanza di centrosinistra che ha commesso due gravi errori: uno, prima delle elezioni, realizzando un programma zeppo di compromessi e contraddizioni; l’altro, dopo essere andata al governo, ignorando quasi completamente il problema creato dalla legge elettorale che in Senato la vedeva con una maggioranza risicata e, successivamente, “pari” col centrodestra a seguito del passaggio sull’altra sponda del senatore ex Italia dei Valori De Gregorio. 157 a 157, esclusi i senatori a vita, ai quali sono state affidate completamente le sorti del governo. Ed è qui che possiamo iniziare a parlare di “poteri forti”, di Andreotti e Pininfarina, il primo legato alla Chiesa, il secondo alla Confindustria. Due soggetti a cui bisogna aggiungere gli Usa. Assieme creano il famoso “trittico” che una volta in Italia faceva eleggere o cadere governi con uno schiocco di dita. Non è un mistero che la politica posta in essere dal centrosinistra non piace né alla Chiesa (vedi “Pacs”…ops…“Dico”), né ad importanti settori dell’industria italiana (vedi “lenzuolate” di Bersani a Telecom, la mancata fusione Abertis-Autostrade, le questioni Alitalia e Trenitalia, le grandi opere, in primis la Tav, bloccate), né agli Stati Uniti che reputano l’attuale maggioranza non in grado di supportare una situazione in Afghanistan sempre più difficile e vuole evitare un disimpegno italiano improvviso nel caso di qualche episodio che metta a repentaglio la vita dei nostri soldati. Ma non piace nemmeno ai Sindacati e alle varie categorie di lavoratori toccate dalle liberalizzazioni. E adesso passiamo al quesito che domina il dibattito politico di queste ore: “Che cosa succederà?”. Il Capo dello Stato Napolitano, dalle 10.30 di stamani, ha avviato le consultazioni con le varie forze politiche. L’Ulivo sarebbe pronto a riconfermare la fiducia a Prodi, come afferma il capogruppo alla Camera Dario Franceschini: “Siamo consapevoli della difficoltà della situazione ma siamo pronti a riconfermare la piena fiducia al Governo Prodi”. Anche Udeur e Verdi hanno comunicato il proprio sostegno, così come Rifondazione che intanto sospende Turigliatto dal partito. Da parte sua, Prodi si è detto disponibile a continuare, ma vuole garanzie sull’appoggio di tutta la coalizione. E qui l’interrogativo: se questo Governo andrà avanti, cosa succederà quando si andrà a votare su argomenti come la politica estera, l’Afghanistan e temi “zapateristi”? Ma di interrogativi ne sta creando anche l’opposizione, che non si mostra compatta sull’immediato futuro del Governo. Berlusconi e Forza Italia, assieme alla Lega, vogliono andare subito al voto. An considerata archiviata la stagione di Prodi ma non si esprime sulle elezioni. Casini e l’Udc, invece, chiedono una riunione attorno ad un tavolo per una “tregua”, facendo capire velatamente di voler provare un governo di larghe intese, la “grossa coalizione” basata su obiettivi programmatici più che politici. Il segnale più forte viene da Tabacci, deputato Udc, che dice: “Una nuova campagna elettorale con Berlusconi leader? Manco a parlarne”. Insomma, da un lato due, forse tre maggioranze nell’Unione, dall’altro due opposizioni.
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