CARINARO. Dissequestrati i beni di Vincenzo Coppola, 55 anni, imprenditore di Carinaro titolare della “Da.Cop” operante nel ramo dello smaltimento rifiuti, che nel 1996, nell’ambito del processo Spartacus 2, era stato accusato di far parte del clan dei casalesi.
La decisione è stata presa dalla Corte d’Appello di Napoli che ha rigettato le tesi avanzate dalla Dia e dalla Procura della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere, basate sulle rivelazioni, ritenute inattendibili, di alcuni collaboratori di giustizia, tra cui Dario De Simone, Carmine Di Girolamo e Giuseppe Di Girolamo. Proprio questi ultimi avevano accusato Coppola di essere organico al clan camorristico dei casalesi. Nel 2004, al termine del processo, l’imprenditore era già stato assolto dall’accusa di associazione a delinquere ma subito dopo, nell’ambito dell’inchiesta parallela, scattarono le misure di prevenzione da parte della Dia di Napoli, su provvedimento del tribunale sammaritano, sia a titolo personale, con la sottoposizione a “sorveglianza speciale”, che a titolo patrimoniale, con il sequestro di beni, tra quote societarie, immobili e altro, per un valore complessivo di circa 3 milioni di euro. Coppola, però, era riuscito ad attivarsi prima del provvedimento, ricorrendo alla Corte d’Appello che, come dicevamo, ha revocato ogni misura di prevenzione ed ora l’imprenditore, difeso dall’avvocato Vittorio Giacquinto, ha intenzione di procedere alla richiesta di risarcimento danni. Nella sentenza della Corte d’Appello si legge che “Coppola ha dimostrato l’assoluta legittimità della nascita della sua impresa e dei suoi introiti. Tra l’altro, la famiglia d’origine di Coppola era benestante, aldilà dei dati formali relativi alle dichiarazioni dei redditi”. Sulle rivelazioni dei pentiti, i giudici napoletani, oltre a definirle incongruenti, ha ritenuto addirittura “scagionante”, a favore di Coppola, la testimonianza di Giuseppe Di Girolamo. Quest’ultimo, infatti, aveva affermato che Coppola “subiva estorsione da parte del clan per diverse decine di milioni di lire”, a fronte di un generico e non specificato intervento presso l’amministrazione comunale per farli ottenere appalti. Pertanto, per i giudici è emersa l’ipotesi concreta che Coppola “sia stato vittima di estorsione continuata e non sia mai stato associato alla camorra”.
“Spero che con questo provvedimento si sia concluso un periodo difficile della mia vita – ha affermato Vincenzo Coppoola – e che ora possa ritornare ad essere un cittadino libero”. Una sentenza che, comunque, non potrà mai cancellare un terribile capitolo della vita di Coppola durato ben 8 anni. Chi pagherà per le umiliazioni, la reputazione distrutta e quant’altro ha dovuto subire ingiustamente l’imprenditore?