ORTA DI ATELLA. Nei Ds, al di là dei silenzi e delle mezze frasi, l’imbarazzo è palpabile. Il segretario regionale Enzo Amendola, rientrato a Napoli, ieri sera ha presieduto una riunione del partito con i componenti della Quercia nel consiglio nazionale
C’era anche il segretario della federazione di Caserta Ubaldo Greco e un primo segnale è il commissariamento della sezione di Orta di Atella, a cui risultavano iscritti anche i fratelli Sergio e Michele Orsi, recentemente arrestati per truffa aggravata e favoreggiamento della camorra nell’ambito di un’inchiesta sui rifiuti. Sotto la Quercia c’è la consapevolezza che il momento è delicato.
A Napoli vertice con Amendola «La legalità è la nostra bandiera»
Tra i banchi dei Ds in consiglio regionale c’è una poltrona vuota. È quella di Angelo Brancaccio, 46 anni, da martedì in carcere. Nel piccolo Transatlantico i suoi colleghi consiglieri discutono di Family day, si lasciano intervistare dalle televisioni. Il caso Brancaccio? L’argomento è delicato e i consiglieri regionali non vanno oltre le rituali frasi di queste occasioni: «Fiducia nella magistratura»; «Si faccia presto chiarezza»; «Sono sorpreso, spero per lui che possa chiarire». Il presidente Bassolino, che nei mesi scorsi fu bersaglio di una campagna scatenatagli contro da Brancaccio per vicende casertane, non va oltre il più classico dei «no comment». Possibile che Brancaccio si dimetta anche solo da segretario del consiglio regionale? Nel Palazzo nessuno si sente di escludere questa ipotesi. Ma l’unica cosa certa, al momento, è che l’ex sindaco di Orta di Atella è sospeso dal partito. Nei Ds, al di là dei silenzi e delle mezze frasi, l’imbarazzo è palpabile. Il segretario regionale Enzo Amendola, rientrato a Napoli, ieri sera ha presieduto una riunione del partito con i componenti della Quercia nel consiglio nazionale. C’era, chiaramente, anche il segretario della federazione di Caserta Ubaldo Greco e un primo segnale è il commissariamento della sezione di Orta di Atella (il commissario dovrebbe essere il responsabile organizzatido di Caserta Dario Abbate), a cui risultavano iscritti anche i fratelli Sergio e Michele Orsi, recentemente arrestati per truffa aggravata e favoreggiamento della camorra nell’ambito di un’inchiesta sui rifiuti. Sotto la Quercia c’è la consapevolezza che il momento è delicato. Amendola conferma il provvedimento di sospensione nei confronti del consigliere regionale, peraltro previsto dallo Statuto, e non nasconde la propria preoccupazione per le conseguenze che il caso Brancaccio può determinare. Preoccupazioni che sono le stesse di Ubaldo Greco, uscito vincitore dal congresso casertano proprio dopo una lunga battaglia con il fronte capeggiato da Brancaccio. «Siamo sovraesposti, non lasciateci soli», è l’invito rivolto ai compagni dal segretario di Caserta. La discussione, nei Ds, è aperta e non facile e si chiede una riflessione che non si esaurisca nella riunione di ieri sera perchè un grave errore, è l’allarme che si lancia, sarebbe quello di derubricare il caso Brancaccio a un semplice incidente di percorso o a un fatto locale. Piuttosto, è l’invito che sale da molti, è necessario che il partito si interroghi per capire perchè, dopo aver fatto della legalità e della trasparenza una propria bandiera, oggi ci sia da fare i conti con inchieste giudiziarie, con tanti comuni (amministrati anche dal centrosinistra) sciolti per infiltrazioni camorristiche, con ripetute accuse di sprechi e cattiva gestione. In sostanza, si rilancia l’allarme sul livello di inquinamento che pervade la politica e si ripropone, oggi più che mai con i Ds proiettati verso la costruzione del Partito democratico, il tema della questione morale.
Brancaccio si difende ma resta in carcere
Tre ore. Tre ore per spiegare, raccontare, negare, ammettere il peccato veniale. Le ore più lunghe di Angelo Brancaccio, che ieri pomeriggio si è trovano davanti ai suoi accusatori, ai giudici che lo hanno inquisito e fatto arrestare. Provato dal carcere ma «lucido e sereno», come hanno detto i suoi difensori, ha puntigliosamente riposto alle domande del gip, Paola Piccirillo, e dei pm Alessandro Cimmino e Luigi Landolfi, raccontando la sua verità. Sul telefonino del Comune di Orta di Atella, che ha continuato a usare anche quando non era più sindaco, fino al giugno del 2006, e che gli è costata l’accusa di peculato: «È vero – ha ammesso – ho sbagliato, ma credevo di poter usare ancora quella scheda, quel numero, anche se avevo il telefonino della Regione. Quando me ne sono reso conto l’ho restituito, e ho già pagato metà della bolletta». Fattura che copre parzialmente il consumo di oltre cinquemila euro di traffico telefonico, saldata, che i difensori, gli avvocati Michele Basile e Maurizio Abbate, hanno depositato. Poi le frequentazioni con gli agenti della sezione di polizia giudiziaria della Procura di Santa Maria Capua Vetere, uno dei quali – Castrese Rennella – è stato arrestato con l’accusa di corruzione, rivelazione di segreti d’ufficio, calunnia. «Una conoscenza nata proprio negli uffici giudiziari – ha spiegato il consigliere regionale diessino – dove ogni tanto ero chiamato per ragioni del mio ufficio». Persone alle quali avrebbe fatto qualche piccola cortesia, quando gli era stato possibile («L’ho messo in contatto con una ditta, quando aveva bisogno di far ristrutturare la sua casa, ma di certo non ho pagato io»), ma senza né chiedere né ottenere nulla in cambio. Ancor meno la violazione della banca dati segreta della Procura, del registro generale telematico nel quale vengono inseriti tutti i nomi delle persone indagate. «Mai saputo nulla, mai chiesto nulla: cosa avrebbe mai potuto dirmi Carmine Rennella, modesto assistente di polizia? Ho chiesto solo informazioni generiche, per sapere che aria tirava. Ho alle spalle una lunga militanza politica, ogni tanto mi attaccavano con esposti e manifesti. Solo una volta mi sono interessato a un fascicolo specifico: era quello relativo alla morte di due ragazzi in un incidente stradale. Le famiglie si erano rivolte a me per cercare di accelerare il nulla osta per la restituzione delle salme». Ma è l’accusa di estorsione quella più pesante e delicata. La minaccia, denunciata da Francesco Antonio Del Prete, ricevuta da Brancaccio perché non aderiva alle richieste, ingiuste e vessatorie, del costruttore Antonio D’Ambra: «Fai quello che devi fare, tu stai in mezzo alla strada e sappiamo con che macchina giri». Brancaccio ha negato tutto. Anzi, ha fornito una versione opposta dei fatti. Ha dichiarato di essersi interessato a Del Prete quando era stato arrestato, dopo la denuncia di D’Ambra per una tentata estorsione (mai avvenuta). «I parenti si erano rivolti a me perché mettessi pace, per avere un consiglio su un avvocato. Io aderii volentieri alla richiesta perché sapevo che Del Prete era innocente, che nella questione con D’Ambra aveva ragione. Fui io stesso a trovare l’avvocato e a pagare la prima parcella, lui non poteva, di millecinquecento euro. Ma quando ottenne gli arresti domiciliari gli dissi di vedersela lui, con il suo difensore. Non so perché mi accusa, ai miei colloqui con lui hanno assistito altre persone». Testimoni di cui ha fornito le generalità. «Brancaccio ha risposto in maniera esauriente e chiara alle domande fatte sulle contestazioni fatte nell’ordinanza di custodia cautelare», hanno commentato gli avvocati Basile e Abbate. Che però non hanno depositato né la richiesta di revoca della misura cautelare, né quella di Riesame. Hanno rinviato tutto all’esito di un altro interrogatorio – che chiedono più ampio ed esaustivo, su tutti i punti in contestazione e anche sugli episodi ritenuti non rilevanti dal gip, che si terrà la prossima settimana, forse già lunedì.
Ad agosto qualcuno riferì al poliziotto delle indagini scattate sull’ex sindaco
La talpa. La talpa vera. L’uomo (o la donna) che violò la banca dati della Procura e che per due volte, alle 11 del mattino dell’1 agosto 2006 e che per primo seppe dell’iscrizione di Angelo Brancaccio nel registro degli indagati, è ancora là, negli uffici di Procura, a Santa Maria Capua Vetere. Una persona legata al potente consigliere regionale diessino, scrive il gip di Santa Maria Capua Vetere, e che quel giorno ha anticipato le mosse del poliziotto Castrese Rennella, al quale un agitatissimo Brancaccio si era rivolto per un appuntamento urgente. Un’altra talpa, non ancora identificata, della quale la Procura vuole il nome per scoprire chi, tra i collaboratori, fa il doppio gioco. Un agosto infuocato, durante il quale le telefonate tra il consigliere e l’assistente di polizia si fanno frenetiche, concitate. Brancaccio ha fretta, Rennella si attiva. Va a Orta di Atella a parlare di persona con l’ex sindaco. Nota un’auto di grossa cilindrata – una Porsche Cayenne – parcheggiata sotto l’abitazione dell’esponente della Quercia e tentenna. «Vieni pure», gli dice il padrone di casa. L’auto appartiene a Nicola Iovinella, uno dei consulenti dell’ufficio tecnico del Comune. Ma Rennella non si fida del tutto: parla ma in codice, e riferisce della convocazione in Procura del segretario comunale. Servizievole, bussa alle porte dei colleghi e chiede informazioni sui fascicoli: le poche risposte che ottiene le gira a Brancaccio. In quei giorni, entrambi cambiano numero di telefono. «Ci sono un paio di z(…)e che mi gonfiano le palle», spiega il consigliere. Il poliziotto, invece, non spiega, ma si procura una scheda telefonica intestata a un immigrato del Bangladesh. Sempre in quei giorni Brancaccio contatta un altro poliziotto in servizio in Procura (A.D., nei cui confronti la richiesta di misura cautelare è stata rigettata), e gli procura un appuntamento con una squillo. Scambio di messaggi tra lui e la ragazza per concordare le prestazioni da «offrire» al poliziotto, ma l’appuntamento – in una casa a Caserta, presa in fitto da Brancaccio a data in uso anche a Rennella – andrà a buon fine solo alla fine dell’estate, quando A.D. rientrerà dalle ferie. A margine dell’inchiesta, i rapporti del consigliere regionale con alcune squillo, una delle quali gli nega i favori chiedendogli «almeno un lavoro». Frequentazioni che gli sono valse anche la richiesta di arresto, rigettata dal gip, per induzione alla prostituzione. Un altro capitolo dell’inchiesta riguarda i contatti tra l’entourage di Brancaccio e imprenditori legati ad ambienti della camorra. Le intercettazioni telefoniche tra l’imprenditore Felice Pagano e un tale Nicola Schiavone documentano le difficoltà dei due nel realizzare una lottizzazione – cento appartamenti – a Orta di Atella e la disponibilità a metterne sul piatto, a disposizione di tecnici e politici, Brancaccio compreso, ventiquattro. Oltre, naturalmente, a incarichi di progettazione che avrebbero fruttato altri soldi.
fonte: Il Mattino