Aversa: quale futuro ci attende?

di Redazione

AversaAVERSA. Ogni aversano sa che Aversa ha una superficie di circa 8 chilometri quadrati. Un’estensione di territorio risibile se confrontata con la vicina Giugliano. Inglobata nell’area metropolitana di Napoli, Aversa è letteralmente circondata da piccoli e medi comuni che, senza soluzione di continuità, la cingono in una morsa di cemento.

Continuare così, senza chiare e condivise scelte sul nostro futuro non è più possibile. Tra massimo, cinque/dieci anni ci ritroveremmo ad essere un anonimo quartiere periferico di Napoli. Queste scelte, per la loro complessità, non possono riguardare una sola parte politica, ma devono essere prese in stretta collaborazione tra tutte le forze cittadine. I problemi sono tanti. Il territorio è ormai saturo d’edifici. Spazio per il verde ce n’è rimasto ben poco. Un traffico allucinante, in alcune ore del giorno, rende le ridicole distanze cittadine simili a lunghi ed estenuanti viaggi. Il territorio martoriato dall’inquinamento e la popolazione tormentata dalle gravi patologie, da questo derivanti, rendono necessari interventi drastici di risanamento ambientale.

La sottocultura imperante fatta di macchinoni, motociclettoni, sgassate, neomelodici e teppistelli di quartiere rendono urgente ed improcrastinabile anche un risanamento culturale. Le cose da fare sono veramente molte. In primis, il disinquinamento del territorio, con l’identificazione e la bonifica d’ogni discarica di rifiuti tossici. Al secondo punto l’identificazione d’aree da destinare a verde pubblico in numero e dimensioni tali da alleggerire il “peso” dell’inquinamento da traffico, creando un polmone verde in grado di farci recuperare ossigeno. Il Parco Pozzi è uno di questi.

Terzo, visto l’esempio positivo di Via Pastore, realizzazione di almeno altre due arterie d’alleggerimento del traffico in entrata ed uscita da Aversa. Quarto: nell’attesa del completamento della piazza antistante la stazione delle FF.SS. e dell’apertura delle stazioni della metropolitana, occorre aumentare le linee per il trasporto pubblico e realizzare almeno due stazionamenti (organizzati e attrezzati di quanto necessario per non sembrare, come ora, dei semplici spiazzi asfaltati) per gli automezzi dei trasporti regionali, provinciali e cittadini.

Quinto: creazione d’altri parcheggi. Ma, attenzione: il costo assurdo di quelli attualmente esistenti non fa altro che scoraggiare chi fosse intenzionato a venire ad Aversa per fare compere, “costringendolo” verso più facili ed economici “approdi” (Grandi Centri Commerciali in primis). Poi ci si lamenta se il commercio langue. Sesto: valorizzazione del centro storico. Recupero dei monumenti, restauro dei palazzi antichi (con un opportuno coordinamento) e dei giardini, orti e aree verdi. Compartecipazione, da parte del Comune, (con norme chiare e trasparenti per l’accesso ai contributi), alle spese sostenute dalle associazioni culturali che prendano in fitto locali ubicati nel centro storico. Riduzione delle tasse di competenza comunale, per dieci anni, per quelle famiglie che decidano di stabilirsi nel centro storico (con controlli seri e continuativi, per evitare i soliti furbetti).

Settimo: la città ha un assoluto bisogno di un’identità culturale. Dobbiamo decidere chi vogliamo essere. Quale identità vogliamo assumere? Vogliamo essere il quartiere dormitorio periferico della metropoli Napoli o la città con quasi mille anni di storia, con caratteristiche proprie ed inconfondibili vocazioni per l’arte, la cultura, la musica, la gastronomia ecc.? In tal senso, anche se non sarà la panacea di tutti i mali e anche se fortemente ostacolata da opposti interessi, la Provincia d’Aversa potrebbe essere un buon inizio. Così come il cambio di denominazione dell’A.S.L. e dell’Università. So benissimo che si tratta solo di pannicelli caldi, ma almeno “ricominciamo da tre”, come direbbe Massimo. L’identità culturale non può prescindere dalle figure dei grandi musicisti aversani: Domenico Cimarosa, Niccolò Iommelli, Gaetano Andreozzi e Lennie Tristano. Ai primi tre occorre necessariamente dedicare un gran festival di respiro internazionale, che serva da rilancio dei prodotti made in Aversa, dei quali parleremo in seguito.

Per Tristano, conosciuto a livello mondiale come padre del cool jazz, ed al quale è stato intitolato il Jazz Club d’Aversa, del quale mi onoro di far parte, il discorso si fa un po’ più complesso. Il Jazz Club Lennie Tristano – Franco Borrini, incredibilmente famoso a livello mondiale, forse addirittura al di là dei propri meriti, in questi anni è stato lasciato, per così dire, andare alla deriva. Mentre negli altri comuni si lottava per avere un turismo culturale qualificato ad Aversa, nell’indifferenza assoluta, si è lasciata al proprio destino una delle poche realtà in grado di attrarre visitatori da ogni parte d’Italia e finanche dall’estero. Alcuni affermano che, essendo l’orientamento politico dei soci assai vario, nessuno schieramento si è sentito in dovere di dare il proprio appoggio. Complimenti per la lungimiranza e l’intelligenza politica. A distanza di pochi chilometri da Aversa: a Teano, Orta d’Atella, Marcianise, Caserta, Pomigliano d’Arco ecc., si svolgono decine e decine di festival che, ovviamente, vedono la presenza di migliaia di persone, compresi moltissimi aversani. Pur se nei programmi politici delle due coalizioni si è molto parlato di jazz, allo stato attuale nulla è cambiato. Il coma è vigile, ma sempre coma è.! Per il rilancio occorre, quindi, una sede stabile e congrui finanziamenti. Altre cose da fare: rivitalizzazione d’alcune strade a vocazione commerciale: via Seggio in testa e tutela dei prodotti tipici nostrani quali: mozzarella, calzature, polacca, vino asprinio, pietra di San Girolamo, vino fragolino ecc.

Per valorizzazione intendo prima di tutto la creazione di un marchio la cui promozione dovrebbe essere affidata, e lo dico a malincuore, a qualche grossa agenzia del nord. La creazione di cooperative per la produzione e la distribuzione (anche tramite siti internet) dei prodotti locali a livello nazionale ed internazionale. Controlli di qualità sulle filiere di produzione (anche questi, purtroppo, da affidare a ditte del nord). Creazione di sinergie tra il mondo della scuola e le varie aziende (creando, per esempio, corsi professionali destinati alla formazione delle maestranze). Le cose da fare sono tantissime, ma lo spazio a disposizione non è infinito, per analizzare le altre vi do appuntamento ad un prossimo articolo. Nel mentre non fate mancare le vostre opinioni, i vostri suggerimenti e, ovviamente, le vostre contestazioni.

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