AVERSA. Vi racconto nei dettagli cosa accade nel Pronto Soccorso di Aversa, ogni giorno, da anni. Appena si arriva, attraverso un viale alberato, la prima cosa che balza all’occhio è la folla che attende dentro e fuori i locali. Una folla irreale, così numerosa da lasciar pensare che qualche evento catastrofico abbia colpito la città.
Per fortuna, nulla di tutto questo. Feriti, parenti, accompagnatori, barellieri, autisti d’ambulanza, medici, infermieri: tutti si accalcano nei locali, appena sufficienti ad accogliere tanta gente. Il primo impatto, devastante, è il banco accettazione (altrimenti definito TRIAGE). Sappiate che al banco, che siate sanguinanti o piegati in due dal dolore, dovrete sempre fermarvi per consentire all’addetto di compilare la scheda d’entrata. Se non siete moribondi, l’addetto assegna il codice di priorità guardandovi da dietro il bancone, senza toccarvi e chiedendovi quali sono i sintomi che presentate.
In caso di persone adulte, questo sistema, può anche passare. Ma di fronte ad un bambino piccolo? Mah!
La logica, inoltre, potrebbe far pensare che al banco accettazione di un ospedale siedano, sempre, almeno un paio d’infermieri. Niente di tutto ciò. Per tentare di dare una mano ai colleghi in difficoltà, spesso, l’addetto al Triage, è costretto a lasciare la postazione nelle mani di una delle tante guardie giurate che presidiano, giustamente, questo “posto di frontiera”. Ovviamente i cittadini inferociti dall’attesa o accolti da una guardia armata invece che da un medico o da un infermiere si scatenano lanciando contumelie, accuse e qualche volta anche pugni al povero malcapitato, che null’altro può fare se non chiamare aiuto tramite l’interfono.
Ma, facciamo un passo indietro.
Per chi non sapesse esattamente cosa vuol significare Triage, sinteticamente ricordo che: a chi si reca in un pronto soccorso, in base alla gravità del caso, è assegnato un codice bianco, giallo o rosso. Il bianco è assegnato ai casi meno gravi, il giallo ai casi più seri, il rosso a chi deve essere immediatamente soccorso, e qui sorgono i veri problemi. Spesso l’arrivo in contemporanea di vari codici rossi, costringe i codici gialli e quelli bianchi ad aspettare per un tempo assurdo. Ho constatato di persona che si può arrivare ad aspettare ben due ore e quaranta minuti (ripeto: due ore e quaranta minuti!) per aver suturata una ferita sanguinante. Voglio precisare che il problema non è la volontà, la capacità o la serietà del personale, che anzi, pur vivendo in un tale inferno ha mantenuto i nervi piuttosto saldi ed ha ancora la forza di resistere all’assalto quotidiano di centinaia e centinaia di persone. Il problema è nel numero ridotto dei box a disposizione per l’assistenza, nel numero ridotto di medici ed infermieri per ogni turno e, soprattutto, nell’eterogenea provenienza dell’utenza. Pur essendoci, infatti, decine d’ospedali nel raggio di una cinquantina di chilometri, ad Aversa convergono (per varie ragioni) cittadini da ogni dove: Giugliano, Villaricca, Marano, Secondigliano, Ponticelli, Barra, Marcianise, Frattamaggiore, Sant’Arpino, Caivano, Qualiano, Melito, Sant’Antimo, Villa Literno, Castelvolturno ecc.
Naturalmente, un Ospedale progettato ed organizzato per un certo numero d’abitanti, non può reggere sotto dieci volte il peso dell’utenza prevista.
Qualcosa bisogna fare. Le scene da girone dantesco, nel 2007, con milioni e milioni di euro spesi per la sanità, non sono in alcun modo giustificabili. Bisogna intervenire. Noi abbiamo sollevato la questione. Spetta ai responsabili della sanità locale prendere i dovuti provvedimenti e risolvere il problema. All’intera cittadinanza posso solo augurare di vivere cent’anni in piena salute e senza mai mettere piede in un ospedale.