“Quel parlamentare sono io, ma droga non ne ho vista e la signora mi era stata presentata quella sera a cena da amici”. Si chiama Cosimo Mele, 50enne brindisino con moglie e tre figli, ed è lui il parlamentare protagonista del festino hard, consumato nella notte tra venerdì e sabato nell’hotel Flora di Roma.
La vicenda è balzata agli onori delle cronache in seguito al ricovero della donna, insieme alla quale Mele partecipava al festino, per un malore attribuibile verosimilmente all’abuso di cocaina e alcool. “La questione morale” si è immediatamente affacciata, dopo che proprio la scorsa settimana, Pierferdinando Casini, leader Udc, aveva proposto il test anti-droga ai parlamentari, all’entrata della Camera. Dopo la vicenda, Mele ha rassegnato le proprie dimissioni al segretario Lorenzo Cesa, che le ha prontamente accolte. Non ha rassegnato le dimissioni dal Parlamento, però, il cui lauto compenso deve evidentemente aver fatto troppa gola, per potere essere soggetto ad una revisione etico-politica. In realtà, tra le dichiarazioni più coerenti che Mele abbia mai offerto, si segnala quella in cui il deputato rivendicava la necessità di difendere “la nostra identità cristiana”. Tra le iniziative encomiabili, quella che vede Mele cofirmatario per la proposta di legge per la pubblicità sull’uso di sostanze stupefacenti o psicotrope da parte dei parlamentari. Dopo la ricostruzione della “notte brava” all’Ansa, Mele sostiene: “La signora l’ho conosciuta a cena, al ristorante Camponeschi, presentata da amici, non sapevo fosse una squillo”. La serata sarebbe stata “rallegrata” da una seconda donna, che nel mezzo della notte avrebbe anche lei preso parte alla festa. La squillo che si è sentita male, e che riferisce di non essere stata costretta a far niente e di essere stata pagata anche bene, adesso sta meglio. La questione politica, invece, è emersa dopo il tam-tam sul papabile protagonista. Una questione che ha investito non solo il semplice soggetto, ma anche, ovviamente, il partito di appartenenza. Ed è per questo che, dopo la scoperta del nome, i vertici Udc hanno pressato il proprio iscritto, perché si dimettesse. “Chi si droga non può legiferare, chi è complice dello sfruttamento della prostituzione non può parlare di famiglia, figli e diritti umani. Un deputato al droga party con prostitute? Si faccia avanti. La vita privata è sacra ma per chi si occupa di rappresentare il popolo e legiferare per il bene comune, è lecito chiedere una condotta più consona e non drogarsi”, ha dichiarato inequivocabilmente Luca Volontè, ai piani alti del partito di Casini. Franco Grillini, Sinistra Democratica, chiosa: “Sul piano umano il collega Mele ha tutta la mia solidarietà, la caccia al nome è sbagliata. All’Udc invece mi permetto di ricordare che è caratteristica degli uomini avere vizi privati e pubbliche virtù. Il partito di Casini quindi moderi l’estremismo: vedi cosa succede nel partito che fa della sessuofobia e del probizionismo la sua ragion d’essere…”. Intanto, disperato, Mele rivela che “la cosa più difficile è stato dirlo a mia moglie”. Il sottosegretario all’Economia, Paolo Cento (Verdi) denuncia le incongruenze comportamentali che caratterizzano l’attuale classe politica. “Facciamo allora un bel test antidroga ai senatori e ai deputati e faremo cadere questo muro di menzogna. Perché il ceto politico finisce per essere proibizionista con gli altri e libertino con se stesso”. Ora, dopo che il segretario Udc Cesa ha accettato le dimissioni di Mele dal partito, la Procura aprirà un’inchiesta su quanto accaduto, non appena la Polizia presenterà un rapporto all’ufficio del pm.