L’umorista Arthur Bloch, nel 1988 pubblicò il primo libro delle “Leggi di Murphy”. Nel libro si descrivevano le disavventure di chi progetta un’opera: “La realizzazione di un progetto mal pianificato richiede il triplo del tempo previsto; quella di un progetto pianificato con la massima attenzione solo il doppio” …
…oppure “In casi semplici, che presentino una soluzione ovviamente giusta e una ovviamente sbagliata, è spesso più saggio scegliere quella sbagliata, in modo da aver già pronta la conseguente modifica”. Aversa da un po’ sembra il laboratorio sperimentale di Murphy. Ogni opera è foriera di polemiche. Le ragioni? Si approvano progetti senza ascoltare il parere dei cittadini.
Eppure poco tempo fa Ciaramella affermò di non poter decidere il futuro di Aversa senza l’apporto di opposizione, Università, commercianti, sindacati ecc.
Questi buoni propositi sono, però, rimasti lettera morta, perchè i soggetti coinvolti invece di esprimere i reali bisogni della popolazione, spesso hanno rappresentato solo interessi personali.
Si ripropone, quindi, l’annoso problema della programmazione urbanistica. Disciplina che, non dimentichiamolo, studia i sistemi urbani e le loro relazioni territoriali.
Visto che la città fa da baricentro ai vari comuni del comprensorio, tutti in forte sviluppo demografico ed economico, prima di progettare “in loco” bisognerebbe, eseguire analisi statistiche e sociologiche in grado di rapportare le opere all’intero territorio dell’agro. La visione dovrebbe essere globale.
I vari piani: regolatore, strategico, strutturale, ambientale ecc. interagiscono con l’intero comprensorio. Non è possibile che tutte le opere realizzate o in corso d’opera scatenino critiche (alcune ingiuste). La pista d’atletica è ancora nell’attesa di un progetto definitivo e già ha scatenato polemiche accesissime. Il progetto di riqualificazione del parco Pozzi alimenta discussioni infinite.
e proteste per l’allargamento di via Andreozzi e via Tristano hanno provocato la variazione del progetto. La costruzione del cordolo in viale Kennedy ha scatenato le proteste di commercianti e residenti. I lavori di Piazza Mazzini, in corso da mesi, hanno attirato l’ira dei residenti a causa dell’abbattimento di querce secolari.
L’opera in corso di realizzazione in Via Giordano è stata già stroncata dagli esperti. Per evitare polemiche l’Amministrazione dovrebbe coinvolgere tutti i cittadini nei processi di ridefinizione e riqualificazione della città. Bisognerebbe introdurre il metodo della “progettazione partecipata”. La qualità del percorso di partecipazione dovrebbe essere il criterio primario per la scelta di un progetto. L’attuazione non è difficile. Prima si raccolgono i pareri, si evidenziano bisogni e desideri e, solo dopo, si fissano i criteri progettuali per gli architetti.
Questo eliminerebbe le varie problematiche che insorgono, quando non ci si rapporta con gli utenti. Confrontarsi con la comunità, consente al progettista di predisporre risposte efficaci ai vari bisogni.
Il metodo partecipativo e la negoziazione degli interessi dovrebbero essere applicati ogni qualvolta si parla di politiche urbane e territoriali. Per l’Amministrazione comprendere le esigenze dei cittadini significherebbe evitare scelte generatrici di conflitti. Un comune che aspira ad essere capoluogo, deve puntare su una riqualificazione territoriale in armonia con le politiche economiche e sociali dell’intero agro.
L’adozione della “progettazione partecipata” si basa, però, su una predisposizione mentale al confronto delle idee. Non penso che questa mentalità sia radicata negli aversani, ma bisogna comunque provarci lo stesso. Ma come funziona? Prima di tutto si coinvolge nel progetto l’intera l’Amministrazione. Si raccolgono i pareri dei responsabili delle politiche giovanili, sociali, sportive, turistiche, ambientali e culturali. Si ascoltano i responsabili della pubblica istruzione, lavori pubblici, urbanistica, mobilità urbana, vigili urbani ecc. Si predispongono i mezzi per l’acquisizione dei dati.
Si diffondono questionari nelle strade e s’inviano lettere alle famiglie. Utilizzando tecniche collaudate volte a favorire la comunicazione tra gruppi (anche antagonisti) si organizzano incontri con le rappresentanze dei commercianti, degli studenti, degli insegnanti, dei pensionati, dei diversamente abili, dei sindacati, del terzo settore ecc. Mediante l’attivazione di un sito web con una bacheca interattiva, s’informa e si dialoga con la popolazione. Si raccolgono i messaggi lasciati nelle “buche delle idee”.
Rilasciando interviste ai media locali e organizzando assemblee pubbliche, forum, mostre nelle quali presentare video, plastici, fotografie, mappe ecc. si tiene sempre aggiornata la cittadinanza.
Alla fine di questo lavoro capillare si dovrebbero distribuire i risultati ai progettisti. Presso il municipio, prima dell’approvazione definitiva, il progetto dovrebbe essere presentato alla cittadinanza per consentire alla stessa di valutare le scelte progettuali, le finiture, i materiali utilizzati e i disegni definitivi. Solo una volta raccolte e sviluppate le proposte avanzate, il progetto potrà definirsi definitivamente approvato. Le fasi successive, in sintesi, dovrebbero essere: la predisposizione e la consegna del progetto esecutivo.
L’indizione e l’aggiudicazione della gara. L’inizio dei lavori. I vantaggi derivanti dall’adozione di una simile procedura sarebbero innumerevoli. I progetti “partecipati” sviluppano, tra l’altro, anche il senso d’appartenenza ad una comunità. È dimostrato che gli spazi co-progettati dai cittadini sono meglio gestibili e presentano una riduzione dei fenomeni di vandalismo. Consentono alla cittadinanza di riappropriarsi dei propri luoghi, considerandoli un patrimonio da rispettare ed usare con oculatezza.
Un bene materiale ed immateriale da preservare per se stessi e per le future generazioni. Lo so che a molti sembrerà utopico, ma in centinaia di casi, questa “uthòpia” ha già consentito di migliorare la vita di tanti italiani.