AVERSA. “Un piccolo passo per un uomo, ma un balzo gigantesco per l’umanità”. Le parole dette da Armstrong, quando il 21 luglio del 1969 sbarcò sulla luna, potrebbero rappresentare un assioma valido in molti contesti della nostra quotidianità. Di certo lo sono quando si parla di lotta alla camorra.
In questo ambito, infatti, anche il gesto di un solo individuo può fare la differenza. E sono stati tanti i “passi” fatti in questa direzione dagli uomini dell’Arma. Tanti da rappresentare un grande “cammino” per tutti i cittadini dell’agro aversano. In meno di tre anni le operazioni messe in atto dal gruppo dei carabinieri di Aversa, guidato attualmente dal Maggiore Francesco Marra, hanno permesso di stanare gran parte dei gruppi camorristici operanti sul territorio. In particolare ad avere le redini di queste operazioni è stata la sezione operativa diretta dal tenente Fabio Gargiulo che, da sempre, ha operato in stretta collaborazione con la Dda (Direzione Distrettuale Antimafia) di Napoli. La lotta alla camorra è diventata la priorità per la sezione operativa di Aversa, la cui connotazione investigativa antimafia è innegabile. Le operazioni sono state svolte su un territorio diviso in arie di influenza differenti. Una condizione, questa, che ha determinato un modus operandi particolare. C’è stata la necessità di impegnarsi singolarmente sui vari gruppi che controllavano i comuni dell’agro aversano.
La prima operazione, che ha permesso di “ripulire” l’area del Comune di Teverola dal clan Picca, è datata 23 febbraio 2005. Sette ordinanze di custodia cautelare raggiunsero in quella data altrettanti uomini del clan egemone sul territorio. Clan appartenente all’ex Nco, la cui presenza a Teverola era permessa dalla “confederazione” dei Casalesi in virtù di un patto di non belligeranza mai venuto meno. Finirono in cella Aldo Picca, Ciro Galiero, Ciro e Raffaele Ruffo, Giuseppe Napolano, Raffaele Della Volpe e Nicola Di Martino. Stanato il gruppo organizzato, nel paese, al momento, non c’è alcuna banda strutturata. A distanza di soli cinque mesi, la sezione operativa mise a segno un altro successo: dieci ordinanze portarono agli arresti di altrettanti uomini del clan Ciocia e Aversa fu liberata dal gruppo di estorsori. L’operazione partiva da lontano. Il 26 novembre del 2004, era di giovedì, la città normanna si trasformò in un campo di battaglia. Non c’erano uomini però ad affrontarsi, solo il boato di una serie di “bombe”, tre per la precisione, che esplosero quasi contemporaneamente in altrettanti luoghi diversi. Erano edifici pubblici, presi di mira dalla camorra. L’“avviso” del clan era chiaro. Lo stesso gruppo aveva agito probabilmente in maniera autonoma rispetto alla volontà del clan dei Casalesi, area Schiavone, che pur non approvando l’operazione rimase in silenzio. Un silenzio ambiguo ma probabilmente strumentale.
Intanto, iniziarono le indagini dei carabinieri che portarono, a distanza di otto mesi circa, all’arresto dell’intero gruppo Ciocia. Un arresto che stroncò sul nascere la guerra intestina che si stava sviluppando all’interno del gruppo stesso. In quel periodo, infatti, Pasquale Ciocia fu vittima di un agguato e le indagini si concentrarono, per qualche tempo, su Amedeo Fabozzo. Entrambi furono ammanettati insieme a Antonio e Benito Mastrillo, Ferdinando Di Fusco, Ludovico Illibato, Antonio Menale, Luciano Esposito, Luigi Cascione e Nicola Cangiano. Per tutti e dieci gli indagati, che rispondevano di estorsione e minacce, c’era l’aggravante dell’articolo 416bis, vale a dire di associazione a delinquere aggravata dai metodi camorristici al fine di agevolare le attività del clan dei Casalesi. Un altro tassello, dunque, si aggiunge alla lotta contro la camorra. L’atmosfera ad Aversa si trasforma e di gruppi strutturati non se ne contano sul territorio. Ma, a distanza di tempo, altre denunce di estorsioni allarmano i carabinieri.
Il territorio viene attenzionato e nel 2007 finiscono in manette altri tre uomini orbitanti nell’aria Schiavone. Si tratta di Giosuè Palmiero, Vincenzo Borrata e Salvatore Iavarone, tutti ritenuti responsabili delle estorsioni fatte al supermercato “Sisa” di Aversa.
E’ la volta dunque del clan Di Grazia operante a Carinaro. Gli uomini del gruppo, appartenenti all’ex Nco, agganciati al gruppo napoletano dei Di Sarno, avevano via libera dai Casalesi sul territorio. L’azione di Carabinieri per stanare il gruppo si è snodata in due interventi particolari. Un primo attacco fu mosso nell’ottobre del 2005 quando, con l’accusa di estorsione, furono ammanettati i fratelli Paolo e Riccardo Di Grazia e Salvatore Di Domenico. Nel marzo del 2007 ci fu la sferrata finale: in cella, accusati questa volta del duplice omicidio Maione e D’Amico e del 416bis, Francesco Di Grazia, Pasquale Sarno, Mario Sacco, Giovanni Messina, Giuseppe Piscopo, Salvatore Mottola, Luciano Cantone, Salvatore Di Domenico, Antonio Contino e Francesco Paccone. Determinanti, ai fini degli arresti, furono le dichiarazioni del pentito Paccone (che indicò il cimitero della camorra a Carinaro), che fu gestito direttamente, su richiesta della Dda, dalla sezione operativa di Aversa. Con questo intervento anche Carinaro fu “ripulita”.
L’ultima azione che ha sbaragliato l’egemonia del clan di Bidognetti a Lusciano e Parete è stata registrata solo qualche giorno fa. Ma quei tredici arresti, datati 2 ottobre 2007, sono gli ultimi di una lunga serie che ha inizio il 26 ottobre del 2006 con l’arresto per estorsione aggravata di Francesco Di Maio. Quest’ultimo, poi, fu incastrato, insieme a Luigi Panfilla, il mese successivo per l’omicidio di Francesco Pezzella. L’esecutore del delitto del 4 luglio del 2005 fu catturato senza l’ausilio di nessun collaboratore. La macchina investigativa riuscì a trovare le prove attraverso una serie di intercettazioni e l’analisi dei legami e della nuova strutturazione del clan.
Il passaggio di potere da Francesco Bidognetti (arrestato insieme a Domenico Bidognetti, Giuseppe Cristofaro, Luigi De Vito e Vincenzo Di Bona il 3 marzo del 2006 per estorsione e 416bis) al giovane figlio Raffaele aveva creato qualche tensione. Probabilmente la presenza di Pezzella come capozona non entusiasmava il giovane rampollo né il suo braccio destro, impostogli dal padre Francesco, Lorenzo Ventre detto ‘o drink. La fine di Pezzella sembrava già segnata da tempo e probabilmente fu trovata la giusta occasione per farlo fuori.
Fu proprio la sua morte a far aprire le indagini che poi portarono in sequenza ai due maxi arresti di Lusciano e Parete effettuati a luglio e ottobre di quest’anno. Dopo l’arresto di Giuseppe Ventre, Luigi Guida, Salvatore Spenuso e Alfonso Santoro, fu la volta del grosso dell’associazione. Finirono in cella, per estorsione aggravata dall’articolo 7, tutti gli uomini di Lusciano: Raffaele Bidognetti, Lorenzo Ventre, Luigi Panfilla, Antonio Nugnes, Antonio Lanza, Giovanni Iometti, Augusto Venditto, Giovanni Cellurale e Nicola Garofalo.
Lusciano perde il suo gruppo egemone, gruppo che aveva esteso il suo potere anche a Parete. C’è dunque un cambiamento: il gruppo nascente di Parete chiede aiuto a qualche esponente storico di Lusciano, poco apprezzato durante la “reggenza” di Raffaele Bidognetti, e trova la forza per “comandare” pure a Lusciano. Anche questa nuova organizzazione viene stroncata sul nascere e Luigi Chianese, Raffaele Chianese, Pasquale Cristofaro, Antonio Di Martino, Gennaro Iolio, Antonio Lanza, Giovanni Mola, Giuseppe Principato, Salvatore Sabatino, Nicola Salviati, Salvatore Tambaro, Clemente Tesone e Lorenzo Tesone finiscono in cella dopo il fermo di indiziato di delitto del 2 ottobre 2007.
Per quanto concerne la situazione a Trentola Ducenta pare che sul territorio, dopo la latitanza di Francesco Cantone (l’ordinanza che lo incastra è datata marzo 2006) e i domiciliari di suo fratello Raffaele, la situazione sia stagnante.
A Cesa, poi, permane la diarchia delle famiglie Caterino e Mazzara, una guerra fredda consentita dai casalesi forse per raggiungere qualche particolare obiettivo.
Così come una sorta di potere doppio persiste a Gricignano dove ancora c’è l’ombra del potere di Orlando Lucariello, da tempo latitante, ed intanto sul territorio continua ad agire la famiglia Autiero.
Per quanto concerne Orta di Atella la sfera di influenza dei napoletani sembra incontrastata. Il gruppo dei Casalesi ha solo qualche sentinella per l’edilizia.
Villa di Briano e San Marcellino sembrerebbero rappresentare un’estensione territoriale di Casal di Principe dove vige omertà e silenzio.
Il TenenteFabio Gargiulo: “Gli imprenditori collaborino”
Le operazioni della sezione operativa del gruppo di Aversa hanno posto, dunque, un freno al dilagare della piaga della camorra sul territorio. Certo c’è ancora da fare ed è lo stesso tenente Fabio Gargiulo ad ammetterlo. “E’ fisiologico un ricambio dei soggetti criminali presenti sul territorio”, ma è più difficile che questi soggetti riescano a creare “un gruppo camorristico organizzato”. In definitiva sembra che un cambiamento sostanziale sia accaduto grazie all’intervento delle forze dell’ordine in questi tre anni circa di lavoro. Un cambiamento che ha di certo indebolito un’area di influenza della “confederazione dei quattro gruppi della famiglia dei Casalesi” (i quattro gruppi che gestiscono il potere sul territorio dell’agro aversano e dell’intero hinterland casertano sono: Zagaria, Iovine, Schiavone e Bidognetti), quella dei Bidognetti”, ma che non ha destrutturalizzato l’intero impianto della confederazione stessa, che rimane in perenne “pace armata” in tempo di tregua e che “si unisce in modo compatto e senza problemi organizzativi in tempo di guerra esterna, vale a dire quando deve affrontare la minaccia di un nemico esterno alla confederazione stessa”.
Le parole del tenente sembrano non avallare la tesi di una possibile guerra intestina nella grande famiglia dei Casalesi, in particolare tra il gruppo Bidognetti e gli Schiavone, supposizione che invece viene avanzata in altri ambienti. Ma se questa è l’analisi della situazione globale della camorra a Caserta, segnali distensivi sembrano arrivare dalla situazione particolare dell’agro. Segnali dovuti alle azioni messe in campo che hanno liberato il territorio dalla presenza dei gruppi organizzati. Adesso nei vari comuni c’è sicuramente chi chiede il “pizzo” ma manca un gruppo che corrisponda ad una effettiva organizzazione strutturale. Il che significa che manca il nucleo principale degli “stipendiati”. Questo non toglie che l’attenzione dei carabinieri è posta proprio sul riconoscimento di nuovi raggruppamenti che potrebbero divenire pericolosi. Ed infatti situazioni particolari paiono presentarsi su alcune aree “ripulite” e la soglia di attenzione degli uomini dell’Arma si è alzata proprio in certe zone. Ma proprio questo evidente indebolimento dei clan favorisce la possibilità di debellare definitivamente, o quasi, la presenza della camorra organizzata. Una possibilità che potrebbe diventare tanto più reale e concreta quanto maggiore diventerà la collaborazione delle vittime delle estorsioni.
Nell’ultima operazione, “Paradiso”, i giudici della Dda e i vertici dell’Arma hanno sottolineato proprio l’assenza della collaborazione da parte dei commercianti. Certo, c’è chi parla ma “per il 90% non sono gli autoctoni bensì commercianti ed imprenditori non dell’agro aversano” – afferma preoccupato il tenente Gargiulo che invita “a collaborare”. L’ausilio delle dichiarazioni delle vittime renderebbe non solo più semplice ma anche più efficace l’azione degli investigatori. Inoltre, nell’ultimo periodo “abbiamo cambiato approccio proprio con i commercianti. Siamo – dice ancora Gargiulio – più vicino a loro e cerchiamo di farli sentire protetti”. Una protezione resa possibile anche dalla presenza dei comandi stazione su più parti del territorio. I presidi dei carabinieri permettono il controllo quotidiano della realtà cittadina e consentono un rapporto simbiotico con i cittadini del territorio da parte dei carabinieri. L’idea di un’associazione antiracket, già prospettata, però, pare impossibile da realizzare, almeno fino a quando i commercianti locali non si prestino alla collaborazione. Ed è per questo, presumibilmente, che ancora non si è riusciti a concretizzarla.
dal “Corriere di Caserta”, domenica 07.09.07 (di Luisa Conte)