La camorra in cerca di equilibri a colpi di fucili e pistole

di Redazione

Domenico BelardoORTA DI ATELLA. Perquisizioni a casa di pregiudicati ed esami dello stube su possibili esecutori dell’omicidio dell’imprenditore di Orta Di Atella Domenico Belardo. Da due giorni gli inquirenti ascoltano, perquisiscono e mettono sotto controllo telefoni fissi e cellulari di familiari e persone considerate gravitanti nella cerchia dei clan rivali di Casandrino e Sant’Antimo che si contendono il suolo atellano e le sue costruzioni, il cemento e i palazzi.

L’edilizia: passione e profitto dei camorristi. Dietro ai soldi che circolano intorno al grande affare di Orta Di Atella, Cesa e Sant’Antimo potrebbe nascondersi il movente che ha armato i sicari di Belardo. La possibile faida scoppiata tra i Verde, vicini ai Casalesi, e i Marrazzo di Casandrino potrebbe aver acceso la scintilla di guerra tra i casertani e i napoletani. I carabinieri del reparto territoriale di Aversa, in queste ore, stanno studiando le carte di alcune ditte del Nolano e di Succivo in cui l’imprenditore figurerebbe come un membro di primo piano. La batteria di fuoco dell’agguato di lunedì era composta da almeno due persone entrate a bordo di un auto nel cortile dell’azienda Italiana Pietre. Un terzo componente del commando avrebbe fatto da specchiettista appena fuori al cancello. Nelle mani degli inquirenti poteva finire il filmato catturato dalla telecamere a circuito istallate in cortile accanto alla statua di Padre Pio. Ma gli occhi elettronici, lunedì, non hanno registrato. Chi ha agito, dunque, sapeva del guasto. Per questo il cerchio delle indagini si starebbe stringendo attorno a conoscenti che avrebbero telefonato a Belardo nella pausa pranzo facendolo cadere, forse, in una trappola. Dal Roxy Bar in piazza l’imprenditore si era diretto nel suo ufficio dove lo attendeva la morte. Le armi utilizzate per inchiodarlo al suolo sarebbero due: un kalashnikov, un Ak 47 calibro 7,62 per 39, ed una pistola calibro 45 considerata potentissima. Le ogive rinvenute avevano un tronco conico, quindi perforante. Uccidere ma non solo; l’omicidio di camorra, stando alla legge del clan, deve anche “sporcare”. Per la potenza delle armi e la disinvoltura dell’agguato teso, si ipotizza che l’uccisione di un esponente di secondo piano del clan, come Belardo, possa essere una risposta alla morte di uno di primissimo piano, come «o’negus». Nelle ore successive all’esecuzione del 28 dicembre i carabinieri avrebbero eseguito alcune prove del guanto di paraffina su Antonio Silvestre e Vincenzo Marrazzo, che, per una logica coincidenza, erano tornati a casa il 24 dicembre grazie ad una licenza concessa loro per trascorrere il Natale in famiglia. Belardo poteva essere considerato una sorta di factotum molto vicino al clan Moccia che stanzionava in azienda in attesa di favori che gli venivano affidati. La rete delle sue forniture raggiungeva l’Emilia Romagna e l’Umbria per poi ritornare a Napoli in occasione del G 7. Voci indiscrete in paese, infatti, rivelano che l’azienda di Orta Di Atella avevano fornito i sampietrini per piazza del Plebiscito. Il suo corpo perforato da proiettili si trova ora nel reparto di Medicina legale di Caserta in attesa dell’autopsia disposta dal pm Antimafia Carmine Esposito.

Il Mattino (MARILÙ MUSTO)

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