ROMA. 30 anni fa, il 16 marzo del 1978, intorno alle 9 del mattino, un commando armato delle Brigate Rosse sequestrò il presidente della Democrazia Cristiana, Aldo Moro, uccidendo gli uomini della sua scorta.
Accadde in via Fani, a Roma, dove oggi le istituzioni hanno reso omaggio allo statista, padre del compromesso storico con l”allora Partito Comunista Italiano, che, dopo una prigionia di 55 giorni, il 9 maggio fu ritrovato morto nel cofano di una Renault 4 in via Caetani, a poca distanza da Piazza del Gesù (allora quartier generale della Dc) e via delle Botteghe Oscure (storica sede del Pci).
Il primo a recarsi sul luogo dellagguato è stato il presidente del Senato, Franco Marini, in rappresentanza anche del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, in viaggio di Stato in Cile. Lungo la strada sono state depositate corone di fiori, davanti alla lapide, accanto alla corona con la fascia tricolore della Repubblica, ci sono quelle del Partito Democratico, del capo della Polizia, del comandante generale dellArma dei Carabinieri e quelle della regione Lazio, Provincia e Comune di Roma.
La verità credo che debba essere ancora ricostruita per tanti aspetti e credo che ognuno dovrebbe fare il proprio dovere dando la possibilità di studiare tutte le carte disponibili e avendo anche il desiderio che chi ha compiuto questi atti di terrorismo abbia la forza e lonestà di dire come sono andate le cose effettivamente
. Lo sostiene Agnese Moro, figlia dello statista e presidente dellAccademia di studi storici intitolata a suo padre, che, sottolineando un quadro ancora poco chiaro della ricostruzione del sequestro, invita a non dimenticare i nomi di Oreste Leonardi, Domenico Ricci, Raffaele Iozzino, Giulio Rivera e Francesco Zizzi. Erano delle brave persone, – dice Agnese Moro – avevano tutta la vita davanti, erano giovani, erano pieni di affetti, avevano le loro famiglie e il ricordo di oggi per me è sempre dedicato a loro.
A rendere omaggio alla lapide in via Fani anche il presidente della Camera, Fausto Bertinotti: Moro viene considerato, e lo è stato, un uomo del dialogo tra le forze politiche. Bisognerebbe, credo, ripensare meglio Moro come luomo del dialogo tra la politica e la società. Il candidato premier della Sinistra Arcobaleno ricorda quei giorni drammatici: Ricordo che quando venne dato lannuncio mi trovavo a Torino nel sindacato e partì immediatamente lo sciopero generale. Parlai con difficoltà ed emozione in una piazza San Carlo gremita di lavoratori. Cera una percezione del dramma umano e politico. Con la vicenda drammatica che portò alluccisione di Moro credo si sia conclusa una storia del Paese, il dopoguerra italiano finisce lì. Quella che impropriamente si chiama prima Repubblica finisce con luccisione di Moro.