Pigneto, l’aggressore si consegna: “Sono di sinistra”

di Antonio Taglialatela

ROMA. Il cinquantenne, ritenuto il “capo” della banda che ha preso d’assalto nei giorni scorsi alcuni negozi gestiti da extracomunitari al quartiere Pigneto di Roma, si è consegnato stamani alla Questura, accompagnato dal suo avvocato.

Si chiama Dario Chianelli ed èla stessa persona che ha parlato con Repubblica, negando di essere razzista e sottolineando: “Sono di sinistra, altro che nazista”. L’uomo, che sull’avambraccio ha un grande tatuaggio di Che Guevara, ha detto che quella del Pigneto non era una spedizione organizzata, ma solo una vendetta per un portafoglio rubato.

“Eccome qua, – spiega al cronista di Repubblica Carlo Boniniio sarei il nazista che stanno a cercà da tutti i pizzi. Guarda qua. Guarda quanto sò nazista…”, mostrando il tatuaggio del Che. “Hai capito? Nazista a me? Io sono nato il primo maggio, il giorno della festa dei lavoratori e al nonno di mia moglie, nel ventennio, i fascisti fecero chiudere la panetteria al Pigneto perché non aveva preso la tessera”. Nell’intervista annuncia di volersi consegnare ai magistrati: “Mi presento, parola mia. Solo allora saprete il mio nome. La faccio finita co sta storia. Ma ci voglio andare con le gambe mie a presentarmi. Nun me vojo fà beve (arrestare) a casa. Perciò, se proprio serve un nome a casaccio, – dice al giornalista scrivi Ernesto”.

L’intervista a Repubblica

E indica la foto apparsa sui quotidiani: “Io sono questo qua, questo cerchiato con il marsupio e la maglietta rossa, che si vede di spalle. La maglietta è una Lacoste”. Poi racconta: “Destra e sinistra si devono rassegnare. Devono fare pace con il cervello loro. Non c’entrano un cazzo le razze. Non c’entra – com’è che se dice? – la xenofobia. C’entra il rispetto. Io sono un figlio del Pigneto. Tutti sanno chi sono e perché ho fatto quello che ho fatto. Tutti. E per questo si sono stati tutti zitti con le guardie che mi stanno cercando. Perché mi vogliono bene. Perché mi rispettano. Perché hanno capito”.

A quel punto parla di un furto del portafoglio a una donna “a cui voglio bene come a me stesso”. Un immigrato lo informa che se lo vuole ritrovare, deve andare nel negozio dell’indiano, “perché il ladro sta lì. E’ un marocchino, un tunisino. Ci vado, trovo lui, l’indiano bugiardo e un vecchio, un italiano. Il marocchino mi dice: ‘Tu passare oggi pomeriggio e trovare portafoglio’. Io dico va bene e, te lo giuro, non mi incazzo, né strillo. Dico solo: ‘Dei soldi non me frega niente. Ma dei documenti sì”. Ernesto ripassa sabato mattina e quel “Mustafà là, ridendo, sempre con quella cazzo di birra in mano, mi fa segno che i documenti l’ha buttati dentro una buca delle lettere. Allora non ci ho visto più e ho detto: ‘Se vedemo alle cinque. E se non salta fuori il portafoglio sfascio tutto’”.

Qui descrive il raid: “Io quando devo fare a cazzotti non mi porto dietro nessuno. Il problema è che quando arrivo all’angolo con via Macerata non ti trovo una quindicina di ragazzi del quartiere? Tutti incazzati e bardati. Te l’ho detto. Mi vogliono bene. Avevano saputo della tarantella. Io davvero non riesco a capire come si sono inventati la storia della svastica. Ma quale svastica? Io questi pischelli non li conosco personalmente, ma mi dicono che sono tutto tranne che fascisti. E, comunque svastiche non ce n’erano”. Poi “i pischelli si mettono a correre verso via Ascoli Piceno. Per me è finita lì. Vedo che stanno a fà un macello con i bengalesi, che si sono messi a sfasciare le macchine della gente del quartiere, cominciò a gridare. Grido: ‘A pezzi de merda che state a fà?’”.

E dice che l’altro giorno ha provato a chiamare anche Luxuria: “Si, quella di Rifondazione. Gli ho detto: ‘Dovemo parlà’. E lui: ‘Sì ma al telefono perché sono a Cosenza per una riunione’. Allora io dico. Tu starai pure a Cosenza, ma al Pigneto, che è dove vivi pure tu, chi ci pensa?”.

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