CASAL DI PRINCIPE. Antonio Iovine, Michele Zagaria e Raffaele Diana. Sono tre i capi del clan dei casalesi inseriti nella lista dei trenta latitanti più pericolosi d’Italia.
E come tali facenti parte del programma speciale di ricerca del gruppo integrato interforze.
Tre vite, quelle di Iovine, Zagaria e Diana, accomunate non solo dall’esiziale scelta di fondo ma anche da episodi che li hanno visti a vario titolo partecipi. Uno di questi, il quadruplice omicidio Pagano-Mennillo-Orsi-Gagliardi, scaturito nell’89 da un regolamento di conti fra cutoliani ed esponenti di quella Nuova famiglia a cui aderivano i casalesi, vide protagonisti, secondo quanto accertato dalla Corte d’Appello di Napoli, proprio l’allora ventiquattrenne Antonio Iovine, alias “’O Ninno”, insieme al più navigato Raffaele Diana e a Giuseppe Caterino detto “Peppenotto”. Un giovanotto su cui poter fare affidamento, questa la considerazione che aveva di Antonio Iovine l’allora indiscusso boss Mario Iovine, da poco uscito vincitore dalla guerra fratricida con i bardelliniani. Fra l’altro, Antonio Iovine e “Marittiello” erano legati da vincoli di parentela, come vincoli di parentela ci sono fra “O Ninno” e l’altro Mario Iovine, soprannominato “Rififì”, anche questi nipote del boss ucciso a Cascais, in Portogallo, nel 1991. Proprio il ’91 è l’anno che vede l’arresto di Antonio Iovine a seguito di uno scontro a fuoco avvenuto coi carabinieri a Frignano (Caserta) nei pressi dello svincolo per la superstrada. Successivamente alla scarcerazione, gradualmente, ma in maniera inesorabile, crescerà la sua influenza nel racket e negli appalti grazie anche ad una furbizia non comune ed alla cattura, nel frattempo avvenuta, di boss storici come Francesco Bidognetti, Vincenzo Zagaria e da ultima nel ‘98 quella dello stesso Francesco Schiavone detto “Sandokan”.
Proprio la fine degli anni ‘90 vedrà, infatti, l’ascesa di Iovine al rango di capo a tutti gli effetti. Ruolo che però ha dovuto e deve tuttora dividere con Michele Zagaria. Se la famiglia Iovine è originaria di San Cipriano d’Aversa ed in gran parte ivi risiede, Zagaria, o meglio, gli Zagaria sono della confinante Casapesenna. Una famiglia da sempre importante nell’organigramma del clan dei casalesi quella degli Zagaria. Capostipite della stessa è da considerasi indubbiamente Vincenzo Zagaria, una delle menti dell’organizzazione dai tempi di Mario Iovine, e convinto proprio da quest’ultimo ad abbandonare quello che all’inizio era il suo riferimento più saldo nel clan e cioè quel Vincenzo De Falco,detto “’O fuggiasco”, alla cui uccisione avrebbe fatto partecipare suo cugino Michele. Si dice, difatti, che all’epoca Michele Zagaria, o “Manera”, come anche è conosciuto, fosse particolarmente bravo con le armi da fuoco. Siamo agli inizi degli anni ‘90 e sia Antonio Iovine che Michele Zagaria avevano da poco lasciato lo status di giovani promettenti dalle spiccate attitudini per avviarsi su una strada che li condurrà alla testa del clan.
Sarà il decennio appena iniziato, infatti, in particolar modo la seconda metà degli anni novanta, a rivelarsi per entrambi decisivo ai fini del consolidamento di quello spessore criminale corroborato da una conduzione spiccatamente imprenditoriale dei rispettivi gruppi camorristici. La latitanza dei due boss dura dalla fine del 1995. Infiltrazioni negli appalti pubblici, estorsioni, gestione delle scommesse, riciclaggio in esercizi commerciali di vario genere. Frenetica quanto versatile l’attività della “Camorra s.p.a.” sotto la gestione Zagaria-Iovine.
Solo parzialmente differente il discorso per Raffaele Diana detto “Rafilotto”. Uomo di fiducia di Mario Iovine, fra i primi ad essere stato sotto processo per associazione di stampo camorristico ex art. 416 bis, Rafilotto si sarebbe macchiato in concorso con altri ,stando alle condanne giunte in primo e secondo grado al processo Spartacus, sia dell’omicidio del nipote di Antonio Bardellino, Paride Salzillo, sia del quadruplice omicidio Pagano-Mennillo-Orsi-Gagliardi. Dopo essere stato arrestato nel 1990 a Casal di Principe nel famoso blitz di Santa Lucia presso l’abitazione dell’assessore Gaetano Corvino assieme a Francesco “Sandokan” Schiavone, Francesco Bidognetti, Giuseppe Russo e Francesco Schiavone “Cicciariello”, la prima metà degli anni novanta passa per “Rafilotto” fra brevi e ravvicinati periodi di detenzione, sino a quando, a seguito anche delle rivelazioni del pentito Franco di Bona, detto “’O professore”, viene arrestato nuovamente nel 2001. L’arresto avviene a Modena dove, nel frattempo, pur essendo ristretto al soggiorno obbligato, Raffaele Diana aveva messo in piedi una succursale del clan dedita alle estorsioni ed alla gestione di locali. Sarà un permesso premio, giunto dopo tre anni di detenzione, ad aprirgli le porte di quella latitanza che dura tuttora.
Quella degli investimenti in Emilia è, comunque, una vera passione per tutto il clan dei casalesi. Come non ricordare a riguardo anche le operazioni finanziarie della famiglia Zagaria ed in particolare del fratello di Michele Zagaria, Pasquale, in quel di Parma? Il modenese ed il parmense terre di conquista del clan dunque. A facilitare tale propensione un’emigrazione consistente da parte di tanti abitanti dell’Agro aversano nella florida Emilia, fenomeno questo che grande slancio ha avuto sin dagli anni ottanta e che è stato visto dal clan come una sorta di passepartout.
Un excursus criminale, quindi, quello che accomuna Iovine, Diana e Zagaria, con varie similitudini: una gioventù da killer, un recente passato da aspiranti leader ed oggi, sotto lo sguardo vigile dell’ancora influente famiglia Schiavone, il ruolo di capi veri e propri con velleità imprenditoriali senza confine.
Il tutto senza trascurare, però, l’altro dato che accomuna i tre ras e cioè gli ergastoli, confermati di recente anche in secondo grado, che li costringono ad una latitanza oltremodo accorta.