Sfida allo Stato con 18 colpi, prima pista: il gruppo Setola

di Redazione

Giuseppe SetolaCASAL DI PRINCIPE. Gli hanno sparato diciotto volte utilizzando due pistole calibro 9 e ora dalle armi utilizzate per l´agguato partono le indagini sull´omicidio di Stanislao Cantelli, lo zio dei pentiti Luigi e Alfonso Diana assassinato ieri mattina in pieno di Casal di Principe.

Pochi dubbi sul fatto che l´uomo, pensionato incensurato di sessant´anni, una lontana parentela anche con il boss Francesco Bidognetti, sia rimasto vittima di una vendetta trasversale volta a colpire soprattutto il nipote Luigi Diana, il collaboratore che con le sue rivelazioni ha dato la stura all´indagine sfociata martedì scorso in 107 ordinanze di custodia cautelare emesse nei confronti di esponenti di primo piano del clan capeggiato dal boss Francesco Schiavone soprannominato “Sandokan”.
Resta da capire adesso da chi sia partito l´ordine di uccidere e in questo senso, visto che nessun testimone si è fatto avanti, gli investigatori, coordinati dal pm Giovanni Conzo, sperano di ottenere una risposta dalle armi impiegate nella missione di morte. I primi accertamenti sembrerebbero ricondurre anche questo delitto, come altri messi a segno in questi mesi di tambureggiante offensiva criminale, all´ala stragista del clan dei Casalesi ritenuta facente capo al latitante Giuseppe Setola. E appare impossibile che il commando possa aver agito in pieno centro di Casal di Principe contro la volontà dei vertici dell´organizzazione.

Ma resta in piedi l´ipotesi di una reazione collegata più direttamente al blitz di martedì scorso, che ha portato non solo ad arresti ma anche a sequestri di beni del valore di oltre 100 milioni di euro. Cantelli non aveva mai avuto guai con la giustizia, dopo il pentimento dei nipoti aveva rifiutato la protezione e forse questo lo faceva sentire al riparo da ritorsioni. Invece è finito nel mirino di killer che sono entrati in azione in pieno giorno e, dopo averlo ammazzato, si sono allontanati attraversando il territorio che da sabato mattina viene presidiato da 500 parà della Folgore, impiegati a supporto delle forze dell´ordine in pattugliamenti e in check point dinamici. Misure che evidentemente non hanno avuto alcun effetto deterrente sui sicari al punto che il presidente del Tribunale, Carlo Alemi, parla apertamente di «sfida allo Stato. Proprio nel momento in cui c´è l´insediamento dei militari, la camorra lancia il segnale allarmante di chi non si lascia intimidire, e questo rende ancora più grave l´accaduto. Lo Stato deve alzare al massimo la guardia, con tutte le possibilità di intervento, siano esse l´esercito e l´intelligence – sottolinea il presidente del Tribunale – ci auguriamo che i parà contribuiscano a liberare uomini per rafforzare le indagini. Diamo alla Folgore il tempo di assumere l´effettivo controllo del territorio, che però deve essere continuo, con continui spostamenti e sempre in supporto alle forze dell´ordine, perché sappiamo che la camorra ha le sue sentinelle, e sa quando e come si deve muovere sul territorio che conosce alla perfezione».
Il delitto di ieri, commenta il procuratore aggiunto Franco Roberti, coordinatore del pool anticamorra della Procura «dimostra ancora una volta l´estrema pericolosità di questi individui. Era illusorio pensare che con l´arrivo dell´esercito le cose evolvessero positivamente come d´incanto. Però è questa la formula giusta – sottolinea il magistrato – con i militari che presidiano il territorio e gli organi di polizia che fanno le indagini. In questo momento vedo una determinazione sinergica tra governo, forze dell´ordine e magistratura. Prima questa determinazione era limitata ad affermazioni di principio, adesso si sta facendo sul serio. I cittadini devono sapere che esiste una comune volontà di uscire da questa situazione. Lo Stato sta mettendo in campo le sue forze migliori e sono sicuro che, serrando le fila con efficacia e determinazione, uscirà vincitore».

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