Camorra, si costituisce il latitante Mario Indaco

di Redazione

carabinieriORTA DI ATELLA. Il latitante Mario Indaco, 49 anni, si è costituito ai carabinieri della stazione di Orta di Atella.

Indaco, detto “Pesciolino”, ritenuto vicino al clan camorristico dei Casalesi ma alleato anche ai clan napoletani, si era reso irreperibile dopo la morte di Domenico Belardo, l’imprenditore ucciso a gennaio nella sede della sua ditta a Orta di Atella. La pressione investigativa degli ultimi giorni e, probabilmente, il timore dell’esplosione di una nuova faida tra clan, sarebbero alla base della decisione di consegnarsi alle forze dell’ordine. Tuttavia, l’ordinanza di arresto per Indaco non riguarderebbe l’omicidio dell’imprenditore ma altre accuse, i cui dettagli saranno resi noti in giornata.

Domenico Belardo, 42 anni, titolare della “Italiana Pietre” fu ucciso lo scorso 7 gennaio da un commando armato nel cortile della sua azienda, in via Bugnano, nel borgo di Casapozzano. Con precedenti per reati contro la persona e il patrimonio) e ritenuto legato ad ambienti malavitosi dell’area del napoletano, Belardo fu raggiunto da una scarica di proiettili mentre era vicino alla statua di San Pio, collocata nel giardino dell’azienda. L’imprenditore stava facendo ritorno a casa quando venne dal commando, entrato dal cancello d’ingresso, cheper gran parte della giornata erasempre aperto.

Un omicidio che si ritenne fosse collegato agli altri compiuti ad Orta di Atella. Nell’aprile 2006, nello stesso tratto di Casapozzano, fu ucciso a colpi di pistola Francesco Fenicia, soprannominato “Formaggino” mentre viaggiava a bordo di una piccola vettura. Fenicia era ritenuto elemento di spicco del clan camorristico “Moccia”, operante tra Caivano ed altri comuni limitrofi. Due mesi prima, il 3 febbraio, moriva sotto i colpi dei sicari Francesco Patricelli, detto “Maradona”, e il successivo 15 marzo veniva freddato, sotto gli occhi del fratello, Filippo Mancini, 42 anni, considerato braccio destro di Antonio Cennamo, soprannominato “’O Malomme”, capozona dell’organizzazione tra Crispano e Cardito. All’epoca due furono le ipotesi degli investigatori: o una faida all’interno dei Moccia, oppure omicidi compiuti da elementi appartenenti alle organizzazioni che contendono allo stesso clan Moccia il predominio delle estorsioni e dei traffici illeciti nelle zone in cui operano.

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