CASTEL VOLTURNO. Anche ai Diana il racket uccise il padre. Il mio sogno di Natale: cerco un cimitero lontano da Casal di Principe per pregare senza temere nessuno. Imprenditori che hanno capito: la tragedia ci unisce. Siamo figli di uomini morti per difendere la libertà.
Racconta Massimo: «Ho avuto un´offerta di lavoro anche da Cristoforo Coppola, lo ringrazio ancora. Ma Antonio e Nicola Diana mi hanno parlato del padre. Ho saputo che i nostri genitori erano amici. Ho capito in un attimo che mio padre mi aveva portato da loro. Ora che non ce l´ho più, lo sento persino più vicino. Ricordo i suoi discorsi. Era di destra, si candidò anche a sinistra al Comune di Castel Volturno, credeva nel sindaco Francesco Nuzzo, un magistrato, gli dava speranza». Domenico Noviello nel 2001 aveva denunciato il racket, tre arresti. Vigilanza fino al 2003, poi l´allarme sembrava passato. Per fermare pentiti e denunce, a maggio cominciò la strage. Fu ucciso chi si era ribellato. «Mio padre sapeva che era in pericolo, ma diceva: “Leggi i libri di storia, guarda quanti sono morti per la libertà”. Diceva e pensava questo». E Massimo? Abbassa lo sguardo, ma la voce è chiara. «Sono in un punto di non ritorno. Ma non mi pento. Amo mio padre ancora più di prima».
Antonio e Nicola Diana hanno quarant´anni e 200 dipendenti. Sono parte civile nel processo ai presunti assassini, prossima udienza il 30 dicembre. Non si sentono eroi ma non si nascondono, non temono e non sfidano. Il pm Antonio Ardituro chiede l´ergastolo per Antonio Iovine, ?O Ninno, latitante e 14 anni per i pentiti Domenico Quadrano e Dario De Simone. Hanno raccontato il delitto senza conoscerne i motivi. La moglie di Iovine, Enrichetta, ha dato una traccia. In una intercettazione, sospira: «Mario Diana era una brava persona. Antonio era troppo giovane quando lo mandarono a sparare». Si pensa che Antonio Bardellino e Mario Iovine, i padrini degli anni Ottanta, volessero la sua azienda per entrare in Montefibre. Un delitto che ferì Casapesenna. Che scena. Ricordano anche Willy, pastore tedesco: spezzò la catena per correre in piazza, arrivò tardi per salvare il padrone, a piangere per due giorni e due notti sulle macchie di sangue.
Antonio Ardituro ha parlato dei gemelli imprenditori nella sua requisitoria. «Non si sono fatti fagocitare, è un importantissimo dato sociale e processuale, ha grande rilevanza per quella terra». Dal 1988 una impresa nazionale di trasporti (“T. D. srl”), dal 1997 “Erreplast”, impianto modello per il riciclo della plastica, dal 2003 una società di recupero imballaggi. Nello scandalo dei rifiuti, neanche un rigo su “Erreplast”, esclusa dai circuiti più tortuosi, costretta a comprare plastica al nord. «Per essere liberi, bisogna rinunciare a qualcosa», dissero a Canale 5. Nessun contatto con i clan, neanche si sfiorano, i Diana si guardano solo da possibili alleanze. Grandi famiglie e colletti bianchi, magari. L´avvocato Vittorio Giaquinto offrì il lavoro attraverso la Procura. I pm Ardituro e Marco Del Gaudio si esclusero subito creando un contatto tra i legali, secondo le parole di Alfredo Mantovano. «Non è un diritto, ma è un dovere dello Stato aiutarlo».
Già, lo Stato. «Io l´ho sentito accanto a me. Presente. Il ministro Maroni disponibile. Mantovano mi ha lasciato un numero: mi risponde sempre e con affetto sincero. Tano Grasso è stato vicino a tutta la famiglia. Il prefetto Giosuè Marino, poi. Non immaginate la sensibilità di Marco Del Gaudio, un magistrato serio, tenace, rassicurante». Massimo va al lavoro con la scorta in una sede lontana dalla provincia che scotta. «Presto per riaprire un´autoscuola, la nostra era una miniera d´oro, unica a Castel Volturno per 25 mila abitanti, 500 patenti l´anno oltre quelle nautiche. Con la riforma Bersani un avvoltoio voleva aprirne un´altra. Ho visto i clienti sparire piano piano. La paura, forse. Ho bisogno di certezze per ora, un lavoro sicuro».
E i ragazzi come Massimo nella terra dei Casalesi? Riflette: «Per quelli della mia età, almeno per molti, è tardi. Sono cresciuti pensando cose sbagliate. Seguendo modelli sbagliati. Ho rifiutato le proposte della tv per me, e non tollero “Il Capo dei Capi”. È un errore. Non si vede il resto della storia: il carcere, l´umiliazione, non si vede lo Stato che vince sulla mafia. La Chiesa dalle nostre parti fa tanto, penso a don Carlo, avvicina i giovani. Bisogna investire sulla scuola, i bambini devono capire che è nata lì ed è morta lì gente come don Peppino Diana, come mio padre. Erano soli. Non sarebbe morto mio padre, se a dire no alla camorra fossero stati dieci, venti, cento, mille…».
Una domanda sofferta, un giro di parole per capire il Natale di un orfano di camorra. Gli è rimasto un sogno? Massimo, un ragazzo ferito che non ha vergogna di sognare, confida. «Porterò mio padre via dal cimitero di Casal di Principe. Voglio andare da lui come e quando voglio, parlare con lui senza la paura che arrivi qualcuno alle spalle, portare i miei bambini e raccontare chi era davvero mio padre, il nonno. Un uomo che ha lottato tutta la vita per morire da uomo libero».
La Repubblica (Antonio Corbo)