Frattamaggiore, mostra dell’artista Mattia Fiore

di Redazione

Mattia FioreFRATTAMAGGIORE. Sabato 31 gennaio, alle ore 18.30, a Frattamaggiore si inaugura un nuovo spazio espositivo con la mostra del noto artista campano Mattia Fiore, …

… titolo dell’esposizione, presentata e curata da Carlo Roberto Sciascia, è “Macchie fluide”. La manifestazione si aprirà con un saluto introduttivo del Presidente del Consiglio Comunale di Frattamaggiore Orazio Capasso; seguiranno gli interventi della coordinatrice della Diana Arte Simona Bianco e del critico d’Arte Carlo Roberto Sciascia. Chiuderà lo stesso artista Mattia Fiore, che presenzierà l’inaugurazione.

In occasione dell’evento è stato edito un catalogo a colori con testo critico di Carlo Roberto Sciascia. Questa esposizione apre le attività del nuovo spazio espositivo “DianaArte”, sito nella cittadina napoletana in via Siepe Nuova n.132; nata lo scorso ottobre sotto il segno di un’impostazione non conformista, essa si propone di affermare con forza, nell’epoca della desertificazione nichilistica culturale, etica e morale, il concetto di cultura come mezzo che esalta i valori spirituali della vita. “Artista tipicamente mediterraneo – afferma il critico Carlo Roberto Sciascia nel suo testo in catalogo – Fiore trasmette la passionalità del sole con l’irrequietezza del mare, lo splendore della natura con la gioia dei profumi e dei sapori in ogni suo lavoro. Le sue intime suggestioni ed i suoi reconditi pensieri disegnano apparizioni improntate essenzialmente all’astrattismo senza disdegnare qua e là di far affiorare i contorni del reale; le forme, in tal caso appena accennate, si pongono alla ricerca affannosa di identità, mentre i pigmenti primitivi entrano in gioco a segmentare le sensazioni in un insieme emotivamente accattivante, forte di stemperate variazioni tonali. L’intensa attività pittorica del maestro dà la misura del suo totale coinvolgimento in una dimensione che non è solo artistica, ma anche e soprattutto spirituale; egli, infatti, trasferisce sulla tela la sua espressività più autentica e genuina e, al tempo stesso, il suo “alter ego”. Similmente a Kafka e a Joice, sperimentatori in campo letterario di una dinamica interiore che rifugge da schemi o collocazioni, ma che vive di per sé in un convulso alternarsi di sensazioni sovrapposte, a volte parallele, a volte divergenti, il suo mondo si sviluppa quasi esclusivamente in “schegge> colorate in un ambito emozionale, in cui egli stesso radica il suo sentimento e le sue pulsioni. Avvalendosi di contenuti e significati inconsci, che riaffiorano sulla superficie pittorica alla ricerca di un insperato equilibrio, delinea architetture di moti interiori e sogni capaci di accentuare il sentore spirituale e, contemporaneamente, vivificare il fascino ancestrale e ravvivare il segno per farlo diventare un’impronta polverizzata dell’ di fronte alla realtà”.

La mostra sarà aperta fino al 20 febbraio c.a. con il seguente orario: dal martedì alla domenica 9.00 – 12.00; 16.00 – 19.00. La “neonata” galleria con le sue attività intende proporsi alla cittadinanza ed all’hinterland circostante come luogo dell’anima, proiezione siderale senza confini dove l’umano cerca la consapevolezza del suo nel divenire continuo e caotico di trasformazioni, occultamenti e dis-velamenti del proprio più autentico. Il suo rappresenterà, perciò, “un viaggio travagliato, ora tragico, ora epico, ora disinvolto dell’uomo che riscopre che la vera potenza realizzando la propria natura sublime. Il primo viaggio nei percorsi di Diana, afferma la coordinatrice del progetto dott. Simona Bianco, porta con sé tutta la sinestesia dell’Astrattismo, che vide nel russo Vasilij Kandinskij il più eccelso interprete dell’incorporeo, dell’immaginario, dell’irreale ritmo danzante che conduce l’io più profondo presso le variabili genitrici umane. Il deserto cresce, avanza, e con esso la sete, l’ansia, la tentazione, il ricordo nostalgico dei colori, delle forme, delle geometrie simboliche comunicative della possibilità e della necessità di un nuovo, e per questo antico ed eterno, ri-dimensionamento dell’uomo, del sacro, del blasfemo, della comunicazione emotiva. La sua, infatti, è un’arte serena ma esplosiva nei cromatismi ed affascinante nei messaggi ma, fondamentalmente, dinamica e in una perenne evoluzione dettata dalla cadenza delle linee, frutto della disgregazione delle immagini in frammenti a sottolineare l’estrema apparenza del reale; essa riesce a confrontare le forze primigenie dell’universo con le intime atmosfere che dalla psiche irradiano segmenti ora delicati ora violenti che vagano tra elementi naturali e spirituali. È questo il naturale substrato, indispensabile per affidare alle tele pensieri ed emozioni, ammantato di chiarori e luci tenui dai contorni labili ed il segno avvolgente, di riflessi e sottili riverberi.

“Come è insignificante il mondo per chi si copre il volto con le mani e non vede altro che le loro linee – afferma il libanese Kahlil Gibran che ne precisa: “Il pensiero è un uccello dell’aria che in una gabbia Profeta> di parole (o forme) può spiegare le ali, ma non può certo volare”. L’uomo, infatti, vive stati d’animo e appare una monade leibziana che percepisce il mondo esterno in modo soggettivo; si deve porre al bando, quindi, l’oggettività che maschera il desiderio di affermare la propria soggettività e, quindi, la propria essenza.

“Pigmentazioni insolite e indefinite – prosegue Sciascia – rendono gli slanci gestuali dell’artista sulla tela ricchi di forti valenze emotive che traggono dall’inconscio, più che dal subconscio, percezioni essenziali e contenuti diversi; ogni tensione latente e tutte le inquietudini sembrano assopirsi di fronte al calore sprigionato dalle visioni “liquefatte” ed armoniose. Le infinite sfumature tonali, che si avvertono fuori di noi, sono filtrate dal nostro io e ne diventano parte integrante fino a condizionarne l’essere; in un emozionante sogno cosmico, che abbraccia tutto il mondo e l’uomo vivificato in vorticose sensazioni, vere perchè vissute, l’artista si avventura nel cyber- spazio dell’inconscio. L’artista riesce ad instaurare un dialogo con il proprio inconscio, fatto di proiezioni dell’io, le quali si inseguono gioiose, di elementi segnici che suggeriscono idee, di cromatismi che si stemperano senza tregua; è un fluire di colori e di tinte che si propongono nel continuo distacco dell’immagine, ma che, pur sempre, ne proiettano il contenuto e rimandano i messaggi ancestrali, privi della bellezza delle forme stesse che spesso distrae dall’essenza”.

Il maestro inserisce le più intime suggestioni, dettate dai suoi reconditi pensieri e dall’irruente emotività, nella sua tavola, spazio di una proiezione psicologica, riflesso di uno spirito contemplativo, che ricerca il dialogo con l’assoluto per evadere dalla condizione immanente. L’istintivo senso artistico guida il gesto liricamente nella perfetta libertà, perché “è insignificante il mondo per chi si copre il volto con le mani e non vede altro che le loro linee” e “Il pensiero è un uccello dell’aria che in una gabbia di parole (o forme) può spiegare le ali, ma non può certo volare” (Kahlil Gibran).

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