CASAL DI PRINCIPE. Marcire in prigione senza avere colpe. Era il destino di Alberto Ogaristi, operaio accusato di omicidio, condannato all´ergastolo. Ma, ancora prima, segnato dalla “tragedia” di essere nato a Casal di Principe. Tutto perso. Fino a ieri.
Fino a quando le parole di un pentito offrono alla coscienza di un pm e alla determinazione di un avvocato il riscontro: «Non fu lui». Eppure non basta. Passeranno giorni, forse mesi, prima che la giustizia della logica si traduca in quella delle carte. Prima che un innocente possa riprendersi la propria esistenza.
La fetta di paese che non si arrende, sorride. Senza brindisi. E in una palazzina di via Giovanni Spadolini, a Casal di Principe, la madre dell´ergastolano che non aveva colpe da espiare, Teresa Ricciardi, si tormenta le mani, aspettando che torni libero il suo Alberto. «Ce l´avevo a morte con la giustizia. Pure i cortei e la fiaccolata mi hanno impedito. I parroci, don Franco Picone e don Carlo Aversano, ci erano vicini. Ora dico: ridatemelo presto. Mio figlio esce a testa alta». Eccolo il caso di Alberto Ogaristi, «muratore e stuccatore», dall´età di 15 anni, da Reggio Emilia in Germania. Nato a Casal di Principe, incensurato e figlio di persone incensurate, primogenito del proprietario di un bar poi ammalatosi di cirrosi epatica, Alberto viene arrestato il 6 luglio 2007 come presunto killer del pregiudicato Antonio Amato – ucciso il 18 febbraio del 2002, nella faida di Villa Literno. Ad accusarlo è il cognato della vittima del raid, un cittadino albanese, Qoqu Telat, sfuggito per miracolo (oggi tornato in Albania, irreperibile). L´albanese crede di riconoscere l´assassino nella foto segnaletica di Alberto Ogaristi. I magistrati non credono all´alibi raccontato dalla fidanzata di allora (oggi è sua moglie: ma si erano appartati in auto, lei si vergognava di farlo sapere, ed esitò nella deposizione). Lui viene assolto in primo grado, ma condannato in appello. Con sentenza passata in giudicato. Ergastolo. Invece. È un clamoroso errore giudiziario. Svelato ieri, definitivamente, dalle indagini dei carabinieri di Caserta e dai pm Raffaello Falcone e Marco Del Gaudio, che con un´ordinanza inchiodano tre pregiudicati per quel delitto: Luigi Guida, di 59 anni, Luigi Grassia, di 36 e Gaetano Ziello, di 29 (ai quali la misura è stata notificata in carcere). E scagionano di fatto, sulla scorta del racconto del pentito Emilio Di Caterino – che a sua volta conferma quanto dichiarato dal collaboratore Massimo Iovine – l´innocente Alberto. Rinchiuso in cella da 1 anno, 6 mesi e 22 giorni. Tuttora detenuto nel carcere di Rebibbia. E ora a Casale, la signora Teresa bacia santini e madonne. «Scrivetelo che avevamo fatto di tutto per fare venire a galla la verità. Tutto sembrava perso. Ma non ho mai smesso di pregare». È una cinquantasettenne invecchiata di colpo, famiglia di contadini, quattro figli. Prova ad assaggiare un sollievo che sa di non potere ancora abbracciare. Anche il suo avvocato, Romolo Vignola, penalista tenace del foro di Santa Maria Capua Vetere, un professionista che non ha smesso di credere che l´antidoto alla malagiustizia fosse riposto nelle pieghe più asciutte e pazienti della giustizia, suggerisce moderazione: «Ci dà conforto sapere che ormai l´innocenza di Alberto è una verità sostanzialmente acquisita. Ma tecnicamente dobbiamo superare ostacoli importanti. Impossibile dire tra quanto tempo il mio assistito lascerà il carcere. Purtroppo siamo ancora alla fase del rigetto opposto alla nostra istanza di revisione del processo. Il 4 febbraio ci sarà la discussione del nostro ricorso dinanzi alla Corte di Cassazione, ma è evidente che non entreremo nel merito». Passaggi che due genitori non capiscono. Ma si fideranno, ancora. L´avvocato Vignola dice grazie ad un magistrato, in particolare: «Con encomiabile e davvero laica capacità di ascolto il pm Falcone che aveva sostenuto la pubblica accusa è stato poi il primo a lottare con noi, quando si è reso conto, già nel dicembre 2007, che il pentito Iovine scagionava Ogaristi. La stessa Procura generale di Napoli si è attivata». Si attende solo che giustizia sia fatta.
L’Espresso