Darfur: mandato d’arresto per presidente Sudan, la Cina protesta

di Redazione

Omar Al BashirKHARTOUM. La Corte penale internazionale ha autorizzato l’arrestato del presidente del Sudan Omar Al Bashir, accusato di crimini di guerra e crimini contro l’umanità.

I tre giudici del collegio, provenienti da Ghana, Lettonia e Brasile hanno invece fatto decadere l’accusa di genocidio, lasciando comunque aperta l’eventualità di riprenderla se dall’inchiesta emergeranno nuovi elementi. La Corte ritiene che in Darfur siano state uccise 300 mila persone e che due milioni siano state costrette a scappare dai loro villaggi.

Per catturare il presidente (è la prima volta che un capo di Stato in carica viene incriminato) sarà chiesta la collaborazione di tutti gli Stati, compreso il Sudan (che già si è rifiutato di collaborare) e quelli che non hanno firmato il trattato (tra cui Usa, Cina, Sudan, Libia e Iran), come ha sottolineato l’italiana Silvana Arbia, cancelliere della Corte, già procuratore del tribunale per il Ruanda, durante la conferenza stampa: “Le autorità di tutti i Paesi, anche di quelli che non hanno firmato il trattato, hanno l’obbligo di arrestarlo e di riferire immediatamente alla Corte. Tutti hanno il dovere di rispettare le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza su questa materia. Anche se è presidente Al Bashir non gode di nessuna immunità”.

La notizia ha scatenato proteste a Khartoum, centinaia di persone sono scese in strada a sostegno del presidente, definendo “neocolonialista” la decisione della corte. Il governo ha poi espulso dal Sudan dieci organizzazioni internazionali, tra cui Medici senza frontiere, accusandole di cooperazione con la Corte.

Ora si temono rappresaglie anche verso i funzionari dell’Onu che lavorano nel Paese, 32 mila persone tra staff internazionale nazionale, cifra che comprende 25 mila caschi blu, dislocati nella regione del Darfur ma soprattutto nel sud del Sudan. Gli italiani sono 500, di cui 300 a Khartoum.

Intanto, la Cina protesta formalmente per il mandato d’arresto ordinato per al-Bashir e chiede la sospensione del provvedimento in sede di Consiglio di sicurezza dell’Onu, di cui è membro permanente. Oltre alla Cina, da sempre alleata del Sudan (è la principale acquirente del suo petrolio), proteste arrivano anche da grandi Paesi arabi come Egitto e Yemen, dalla Conferenza islamica e dalla Lega araba. La Russia parla di “decisione intempestiva”.

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