CESA. Un paesaggio spettrale fatto di case semidistrutte, di tende sparse un po dappertutto dove si riesce ad udire un unico rumore, quello del silenzio. video
Locchio nudo percepisce quello che è accaduto dalle rovine delle abitazioni. Il dolore di questa gente è tangibile proprio nel loro silenzio, che vale molto più di qualsiasi racconto. Qui, le persone sono distrutte e non hanno più voglia di parlare. Vorrebbero tornare alla loro vita, quella precedente alla notte del 6 aprile, ma sanno che alle loro spalle non cè più lo stesso passato, crollato come le loro abitazioni.
E domenica, i bambini giocano felici su uno scivolo gonfiabile, la gente si incammina verso la chiesa dove il parroco sta celebrando messa. Scene di vita normale se non fosse che siamo in una delle tendopoli di Poggio Picenze. Ci avviciniamo, abbiamo davanti a noi coloro che hanno vissuto questa terribile esperienza e sono sopravvissuti. Il loro volto, dietro una cortina di normalità, è un misto tra sofferenza e paura.
Il nostro viaggio dalla Campania verso lAbruzzo li commuove e, dopo averci ringraziato per laiuto, ci lasciano andare facendoci promettere di non dimenticarliperché hanno ancora bisogno di noi. Da lontano un cumulo di case franate, schiacciate dai tetti pesanti, sotto quelle macerie dove molte persone si sono addormentate per sempre. La pioggia sottile e intesa bagna i mattoni crudi frantumati misti ai pezzi di cemento, i tronchi di legno incastrati tra le pietre e i calcinacci che scivolano gli uni sugli altri.
Ci avviamo verso casa con lAbruzzo nel cuore e lo stesso silenzio che ci “assordava” lo ritroviamo lungo il nostro tragitto. Mentre la mente ripercorre le immagini del disastro e i volti di quelle persone, la nostra anima gioisce perché conscia di aver potuto aiutare, seppur in minima parte, i fratelli abruzzesi.