NAPOLI. Lundicesima edizione del Napoli Film Festival si conclude con un autentico bagno di folla entusiasta per lattore americano Matt Dillon.
Dopo aver annunciato i vincitori (il serbo “The Tour” di Goran Markovic nella sezione “Europa, Mediterraneo” e Narciso, dietro ai cannoni e davanti ai muli di Dario e Marcello Baldi in quella di Nuovo Cinema Italia), il direttore Mario Violini ha introdotto il tanto atteso divo statunitense. Convinti applausi lo hanno accolto nella sala grande del maestoso Castel SantElmo, dove, per circa unora e mezza, ha amabilmente conversato con il giornalista Antonio Monda ripercorrendo i momenti essenziali di una filmografia ricca di titoli passati alla storia. Incalzato dalle domande di Monda, Dillon ha, innanzitutto, evidenziato la differenza di metodologia registica tra due dei piú importanti cineasti che lo hanno diretto allinizio della carriera, Francis Ford Coppola (I ragazzi della 52° strada e “Rusty il selvaggio, 1983) e Gus Van Sant (Drugstore cowboy, 1989), sottolineando quanto la lezione di entrambi sia stata formativa, soprattutto, in occasione del suo esordio alla regia (“City of Ghosts”, 2002, unico film da lui diretto al momento).
In secondo luogo, l’intervistatore ha rimarcato la rara capacità, posseduta da Dillon, di mutare registro interpretativo , passando con disinvoltura da performance drammatiche (Crash-Contatto fisico, 2004, di Paul Haggis, per il quale ha ricevuto l’unica candidatura all’Oscar) a ruoli comici (“Tu, io e Dupree”, 2006, di Anthony e Joe Russo), e di impegnarsi in produzioni sia mainstream che indipendenti. Infine, alla domanda sulla disinvoltura con la quale affronta il marchio di sexy symbol, fatta subito dopo aver visto una sequenza, piuttosto scottante, del cult Sex Crimes-Giochi pericolosi (John McNaughton, 1998), Dillon ha risposto con evidente imbarazzo, mostrando un lato pudico e umile, che lo ha reso ancora più simpatico e umano al pubblico accorso a vederlo.