ROMA.La polemica, scatenata dall’inchiesta de L’Espresso, sulla Consulta e, in particolare, sulla cena tra Berlusconi, il ministro della Giustizia Angelino Alfano e due giudici della Corte Costituzionale, Luigi Mazzella e Paolo Maria Napolitano, chiamati a pronunciarsi sul Lodo Alfano, investe l’Aula della Camera.
Il leader dell’Italia dei Valori Antonio Di Pietro ha presentato un’interrogazione per chiedere lumi sulla vicenda.A rispondereil ministro Elio Vito, il quale ha detto chesi è trattato di un “incontro conviviale”, durante il quale non si è parlato del lodo Alfano. “Molte settimane prima della data indicata, a maggio, – ha spiegato Vito – il presidente Berlusconi, il sottosegretario Gianni Letta, il ministro della Giustizia Angelino Alfano, il presidente della commissione Affari costituzionali del Senato Carlo Vizzini e il giudice costituzionale Paolo Maria Napolitano hanno ricevuto un invito a cena con le rispettive consorti dal giudice costituzionale Luigi Mazzella. Si trattava di un incontro conviviale che è conseguenza di rapporti di conoscenza e di stima antica organizzato nella prima metà del mese di maggio. In ogni caso antecedente al 26 giugno, quando la Consulta ha fissato al 6 ottobre la data di inizio della sua discussione sul lodo Alfano nominando il relatore”.
Spiegazioni poco convincenti per Di Pietro, che ha parlato di “toghe spregiudicate” e di “cena carbonara e piduista”, “che ha compromesso la credibilità della Corte”, chiedendo le dimissioni dei giudici Mazzella e Napolitano e del ministro Alfano.
Da parte sua, con una lettera aperta al presidente del Consiglio, il giudice Mazzella, ha voluto garantire all'”amico di vecchia data” che la cena a casa sua, contestata dal Pd e dall’Idv, non è stata la prima e “non sarà certo l’ultima fino al momento in cui – scrive – un nuovo totalitarismo malauguratamente dovesse privarci delle nostre libertà personali”.
Per Di Pietro la missiva dimostra che il giudice è “reo confesso” e quindi “«deve dimettersi”.
La capogruppo del Pd nella commissione Giustizia della Camera, Donatella Ferranti, commenta: “Pur comprendendo il legittimo desiderio del giudice Mazzella di difendere le proprie libertà personali, non possiamo che continuare a giudicare del tutto inopportuna una cena privata con il presidente del Consiglio, il ministro della Giustizia e i presidenti delle commissioni Affari costituzionali, alla vigilia della decisione della Corte sul lodo Alfano”.
Il caso ha fatto registrare un feroce battibecco tra Di Pietro e il ministro della Cultura Sandro Bondi, al quale non sono piaciuti i toni forti dell’ex pm. Nel momento in cui Di Pietro ha parlato di “giudici spregiudicati che infangano la Corte”, anche Elio Vito ha guardato ripetutamente il presidente di turno, Rocco Buttiglione, sperando in un intervento. Che non è arrivato. “Vergognati! Vergognati!” ha a quel punto gridato più volte Bondi all’indirizzo di Di Pietro. Poi si è alzato continuando a inveire verso gli scranni dell’Idv, per poiabbandonare l’Aula.
La lettera del giudiceMazzella a Berlusconi:
«Caro Presidente, caro Silvio,
ti scrivo una lettera aperta perchè cominciando seriamente a dubitare del fatto che le pratiche dell’Ovra (la polizia segreta fascista, ndr) siano definitivamente cessate con la caduta del fascismo, non voglio cadere nel tranello di essere accusato, da parte di chi necessariamente ne ignorerà il contenuto, di averti inviato una missiva “carbonara e piduista”, secondo il colorito linguaggio di un parlamentare. Ritenevo in buona fede di essere un uomo libero in un Paese ancora libero e di avere il diritto ‘”umano” di invitare a casa mia un amico di vecchia data quale tu sei.
Ho sempre intrattenuto con te rapporti di grande civiltà e di reciproca e rispettosa stima. Vederti in compagnia di persone a me altrettanto care e conversare tutti assieme in tranquilla amicizia non mi era sembrato un misfatto. A casa mia, come tu sai per vecchia consuetudine, la cena è sempre curata da una domestica fidata (e basta!). Non vi sono cioè possibili ‘”spioni”, come li avrebbe definiti Totò. Chi abbia potuto raccontare un fantasioso contenuto delle nostre conversazioni a tavola inventandosi tutto di sana pianta resta un mistero che i grandi inquisitori del nostro Paese dovrebbero approfondire prima di lanciare accuse e anatemi. La libertà di cronaca è una cosa, la licenza di raccontare frottole ad ignari lettori è ben altra! Soprattutto quando il fine non è proprio nobile.
Caro Silvio, a parte il fatto che non era quella la prima volta che venivi a casa mia e che non sarà certo l’ultima fino al momento in cui un nuovo totalitarismo malauguratamente dovesse privarci delle nostre libertà personali, mi sembra doveroso dirti per correttezza che la prassi delle cene con persone di riguardo in casa di persone perbene non è stata certo inaugurata da me ma ha lunga data nella storia civile del nostro Paese. Molti miei attuali ed emeriti colleghi della Corte Costituzionale hanno sempre ricevuto nelle loro case, come è giusto che sia, alte personalità dello Stato e potrei fartene un elenco chilometrico.
Caro presidente, l’amore per la libertà e la fiducia nella intelligenza e nella grande civiltà degli italiani che entrambi nutriamo ci consente di guardare alla barbarie di cui siamo fatti oggetto in questi giorni con sereno distacco. L’Italia continuerà ad essere, ne sono sicuro, il Paese civile in cui una persona perbene potrà invitare alla sua tavola un amico stimato. Con questa fiducia, un caro saluto».