Setola, Facebook e i “sociologi” dell’ultim’ora

di Raffaele De Biase

Giuseppe Setola CASAL DI PRINCIPE. Ancora una volta debbo amaramente constatare come le grida farisaiche e ritardatarie dei più facciano a gara a rincorrersi spacciandosi per genuina indignazione.

A stimolare questa mia riflessione, stavolta, è il caso di Giuseppe Setola e Facebook, il social network del momento. A scatenare la “rabbia” (vera o presunta, chissà…) di molti (politicanti o meno essi siano) sarebbe la scoperta di un gruppo inneggiante al sanguinario killer del clan dei casalesi. Guarda un po’… Peccato, però, che Setola, in tal senso, sul social network faccia “buona” compagnia a Francesco Schiavone (“Sandokan”), a Francesco Bidognetti (“Cicciotto ‘e mezzanotte”), ad Antonio Iovine (‘O Ninno), a Michele Zagaria e, spostandoci un po’ più a sud, a Bernardo Provenzano ed a Totò Riina. Forse, anzi sicuramente, ne ho dimenticato qualcuno per strada.

E allora via con la sociologia dell’ultim’ora da parte dei media: “Ciò che inquieta è la giovane età dei membri dei gruppi”. Ma perché? Qualcuno per caso pensava che quei giovani del casertano che amano sfidarsi col coltello e con le roncole presso accorsati bar avessero come modello Don Bosco o Madre Teresa? Oppure che le tante piccole emule di Paris Hilton, che animano le nostre strade con le loro macchine 50 elargite graziosamente dal “papi” (quello vero), fossero, invece, delle appassionate di astrofisica o del dolce stil novo? Suvvia! Siamo seri o sforziamoci di esserlo.

La verità è che sta andando tutto a p….ehmm.. alle ortiche! Ci siamo mai andati a preoccupare di come si svolgono, ad esempio, gli anni scolastici negli istituti? Quante ore di formazione effettiva svolgano in essi i giovani? Quali sono le priorità nelle famiglie? Quanti minuti al giorno un genitore parli con il figlio e, soprattutto, che esempio offra? E cosa faccia la politica (quella con la P maiuscola), se esiste, per porre un argine a quello che è un oggettivo degrado? Vogliamo poi parlare delle università dove spadroneggiano tanti “masti” con tanto di camicie a righe (quelle con Topolino e Paperino sono passate di moda) ed occhiali da sole rigorosamente penzolanti dalla camicia, altrettanto rigorosamente sbottonata sul petto villoso?

Ben venga, dunque, il colonnello Burgio ed anzi, parafrasando qualche slogan da corteo, “uno, dieci, mille Burgio”. Ma occorre anche altro. Come qualche educatore, vero ed informale, che in maniera spiccia ed efficace, lontana dalla retorica di certe associazioni, faccia capire che certi modelli non solo sono eticamente esecrabili, ma anche poco convenienti. E questo, in una fase quale quella attuale che fa della convenienza un parametro guida assoluto, può risultare un messaggio molto più efficace. Almeno a breve termine. In definitiva un tizio che a 38 anni finisce recluso a vita in una cella, dopo aver magari passato già tanti altri anni della sua misera vita in carcere, è soprattutto un imbecille. Può sembrare limitante quest’approccio ma, al momento, purtroppo, credo sia l’unico che possa far diventare meno folti i gruppi che inneggiano ai camorristi sparsi su Facebook o in qualsiasi altro posto di questa ormai sempre più triste Terra.

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