Cliniche convenzionate, scoppia la pentola in Campania

di Antonio Arduino

 AVERSA. Sarebbero si e no una ventina le case di cura presenti in Campania in grado di poter certificare il possesso dei requisiti previsti dalla delibera di giunta regionale 7301 del 31 dicembre 2001 per l’accreditamento delle strutture private.

Pertanto, se si usasse per le strutture dell’intera regione il metro applicato da Antonio Gambacorta – commissario straordinario dell’Asl di Caserta che, a seguito di rapporti redatti dai Nas e della commissione cosiddetta 7301 dell’azienda, ha sospeso la convenzione per i prossimi sei mese ad alcune delle 13 strutture convenzionate presenti nel casertano per l’ospedalità privata (convenzionate) della Campania, – sarebbe il disastro totale. Perché solo una ventina delle 72 cliniche convenzionate sarebbe in possesso dei requisiti di legge. In particolare, delle 34 presenti a Napoli e provincia due soltanto sarebbero in regola, mentre nessuna tra quelle attive ad Avellino e provincia.

Una condizione che però non sarebbe stata verificata dai Nas, né dalle commissioni “7301” delle Aziende sanitarie locali di competenza. Cosicché se Mario Santangelo, commissario straordinario alla sanità della Regione Campania, disponesse oggi le stesse verifiche disposte da Gambacorta per le strutture aversane e casertane, in generale, che hanno portato alla sospensione della convenzione per metà delle case di cura presenti nella provincia, considerando che il collasso, in termini di carenza di personale, degli ospedali regionali è globale, viene spontaneo domandare dove un cittadini campano dovrebbe andare per essere sottoposto a in qualsiasi intervento chirurgico?

Certo non negli ospedali dove non c’è solo il problema della carenza di personale ma anche quello della carenza di requisiti. Quegli stessi che mancano alla case di cura. Perché la legge che fa obbligo di adeguamento delle strutture al rispetto di requisiti minimi specifici “per esercitare attività sanitarie” riguarda sia l’ospedalità privata convenzionata che gli ospedali pubblici. Solo che mentre per il privato la legge è inflessibile, per il pubblico è elastica. Così, che importa se un reparto ospedaliero ha solo due gabinetti per 30 ricoverati dei due sessi o se manca del bagno per disabili o se l’ammalato deve restare in barella per giorni. Quello è il pubblico e deve avere tempo per mettersi in regola. Per l’ospedalità (le cliniche) convenzionata è diverso, se la camera di degenza non ha il bagno interno, se le dimensioni sono di qualche centimetro inferiori a quelle fissate rischia la convenzione, rischia di chiudere, mettendo sul lastrico centinaia di operatori tra medici, paramedici e ausiliari.

Due pesi e due misure. Chi deve (rispettare) e chi può (farne a meno). Insomma, nella stessa regione le medesime carenze non comportano i medesimi risultati. Le conseguenze, però, alla fine, ricadono sempre sull’assistenza che dovrebbe essere garantita ai cittadini, come diritto alla salute. Ma questo è solo un articolo della Costituzione.

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