ROMA. A rispondere alle accuse rivolte al capo dello Stato Giorgio Napolitano dal premier Silvio Berlusconi e dal direttore de Il Giornale Vittorio Feltri ci pensa una nota del Quirinale.
Il pomo della discordia è il Lodo Alfano e la decisione della Consulta che lo ha giudicato incostituzionale: E del tutto falsa l’affermazione che al Quirinale si siano stipulati patti su leggi la cui iniziativa, com’è noto, spetta al Governo, e tanto meno sul superamento del vaglio di costituzionalità affidato alla Consulta.
La nota diffusa dal Colle ricostruisce la vicenda relativa alla legge, che sospenderebbe i processi a carico delle quattro cariche più altre dello Stato, a partire dal giugno del 2008: Una volta rilevata, da parte del presidente della Repubblica, la palese incostituzionalità dellemendamento ‘blocca processi’ inserito in Senato nella legge di conversione del decreto 23 maggio 2008, il Consiglio dei Ministri – si legge nel comunicato – ritenne di adottare il disegno di legge Alfano in materia di sospensione del processo penale nei confronti delle alte cariche dello Stato. Il presidente della Repubblica ne autorizzò la presentazione al Parlamento, e successivamente, dopo lapprovazione da parte delle Camere, promulgò la legge. Tale promulgazione, comunque motivata, non poteva in nessun modo costituire ‘garanzia’ di giudizio favorevole della Corte in caso di ricorso. Il rispetto dellindipendenza della Corte Costituzionale e dei suoi giudici, doveroso per tutti, ha rappresentato una costante linea di condotta per qualsiasi presidente della Repubblica.
La collaborazione tra gli uffici della presidenza e dei ministeri competenti conclude la nota – è parte di una prassi da lungo tempo consolidata di semplice consultazione e leale cooperazione, che lascia intatta la netta distinzione dei ruoli e delle responsabilità.
A tutto ciò si aggiungono anche nuovi elementi a sostegno della decisione assunta dalla Consulta, riportati oggi dallAnsa. Tra i precedenti utili alla scelta della Corte Costituzionale ci sarebbe anche la sentenza n. 451 del 2005 relativa a Cesare Previti, un fedelissimo del presidente del Consiglio Berlusconi. La sentenza afferma che, nel caso un imputato sia anche componente di un ramo del Parlamento, il giudice ha l’onere di programmare il calendario delle udienze in modo da evitare coincidenze con i giorni di riunione degli organi parlamentari.
Affermazioni che risolverebbero i conflitti tra esigenze processuali ed extraprocessuali, in modo che, nel caso dei processi a carico del premier, i giudici potrebbero stabilire con lo stesso Berlusconi un calendario delle udienze che tenga conto degli impegni istituzionali del presidente del Consiglio.