Michele La Prova: da Teano a Cefalonia passando da Mosca

di Redazione

Michele La Prova TEANO. Michele La Prova ha oggi 86 anni e vive nella città sidicina circondata dall’affetto e dall’amore dei figli, nipoti e pronipoti.

Non aveva ancora compiuto venti anni (essendo nato nel 1923) quando venne arruolato ed incamerato nella 17° Divisione “Acqui” e trasferito sull’isola greca di Cefalonia. Michele, appena giunto sull’isola faceva una normale vita di guarnigione in tempo di guerra (vigilanza delle coste e postazioni antisbarco) e non immaginava cosa sarebbe successo di lì a poco. La notizia dell’armistizio dell’8 settembre 1943 lo colse impreparato ed in un primo momento accolta anche con gioia subito dopo trasformatasi però in dramma.
L’ 8 settembre assieme al 17° fanteria, al 317° fanteria, al 33° artiglieri, ai reparti del Genio e della Regia Marina partecipò alla battaglia contro i tedeschi. Dopo essere sfuggito miracolosamente ai bombardamenti degli stukas tedeschi ai quali fu esposto insieme all’intera guarnigione, riuscii ad evitare la rappresaglia dei tedeschi vagabondando per le numerose macchie esistenti nell’isola prima di essere catturato e fatto prigioniero dei russi. È stato prigioniero a Mosca fino al 1949 quando tornò, provato dagli stenti ai quali venne sottoposto, a Teano accolto dall’intera cittadinanza e dai familiari che pensavano fosse oramai deceduto. A Teano Michele aprì un’attività commerciale che ha tenuto sino alla sospirata pensione. Ora, quando le forze glielo consentono, partecipa con orgoglio alle cerimonie del 17° Reggimento “Acqui” di stanza a Capua presso la Caserma “Salomone”, come lo scorso 28 settembre, quando ha preso parte alla cerimonia dell’arrivo del neo comandante dell’Unità, Colonnello William Russo.
È stato in quell’occasione che l’ho conosciuto ed abbiamo avuto modo di parlare dei fatti di quei giorni. Michele ha ancora una mente molto lucida. A Cefalonia oltre 1700 militari italiani dell’Acqui furono uccisi dai tedeschi, ma non si ebbe alcuna Resistenza partigiana. Mentre altre divisioni stanziate in Grecia si arresero, l’Acqui fu costretta a combattere, contro la volontà dello stesso generale Gandin, che stava trattando la resa. L’8 settembre 1943, nelle isole greche di Cefalonia e Corfù c’erano le truppe occupanti italiane della Divisione Acqui che comprendevano 525 ufficiali e 11.500 soldati, capeggiate dal generale Antonio Gandin.
Fra il 9 e l’11 settembre si ebbero trattative tra Gandin e il tenente colonnello tedesco Hans Barge. Gli accordi furono compromessi dal cannoneggiamento di due motozattere tedesche, che ebbe lo scopo di bloccare ogni possibile resa. Fu proprio l’attacco alle imbarcazioni tedesche a scatenare la rappresaglia. Ci fu, dunque, la volontà di mandare a morire i soldati della divisione “Acqui”, come una sorta di “carne da macello”.
L’ordine a combattere venne inoltrato a Cefalonia la notte del 13 settembre, dalla stazione radio di Brindisi: “N.1029 CS (Comando Supremo) alt Comunicate at generale Gandin che deve resistere con le armi at intimazione tedesca di disarmo at Cefalonia, Corfù et altre isole. F.to Generale Francesco Rossi Sottocapo di Stato Maggiore”. Si trattò di una delle tante direttive a cui i soldati e lo stesso Michele La Prova dovevano obbedire, con la sola differenza che gli italiani si trovavano contro i loro vecchi alleati, che erano più forti, e senza alcun aiuto che provenisse dai nuovi alleati.
Il 14 settembre il generale Gandin chiuse le trattative con la nota frase, testimoniata dai sopravvissuti (in quanto la documentazione scritta andò distrutta): “Per ordine del Comando Supremo italiano e per volontà degli ufficiali e dei soldati, la divisione Acqui non cede le armi”.
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