ROMA.I servizi segreti italiani erano a conoscenza del sequestro del 2003, da parte di alcuni agenti americani della Cia, dell’ex imam di Milano Abu Omar.
Lo scrive il giudice milanese Oscar Magi nelle motivazioni della sentenza, depositate lunedì, con cui nel novembre scorso ha condannato 23 agenti americani per il sequestro. “L’esistenza di una autorizzazione organizzativa a livello territoriale nazionale da parte delle massime autorità responsabili del servizio segreto Usa lascia presumere che tale attività sia stata compiuta quantomeno con la conoscenza (o forse con la compiacenza) delle omologhe autorità nazionali”, si legge nelle motivazioni. “Ma di tale circostanza non è stato possibile approfondire le evenienze probatorie (pur esistenti) per l’apposizione-opposizione di segreto di Stato da parte delle autorità governative italiane”, scrive Magi.
Circa la posizione del generale Niccolò Pollari, ex direttore del Sismi – per il quale, per effetto del segreto di Stato, è stato disposto il non luogo a procedere inisieme all’ex dirigente Marco Mancini – il giudice scrive che “rimane un giudizio morale fortemente negativo” poiché “in qualità di servitore dello Stato ha partecipato ad attività di ostacolo e sviamento delle indagini che altri servitori dello Stato stavano svolgendo sul sequestro di persona di Abu Omar”. Inoltre, “al generale potrebbero essere contestate tutte le condotte per cui è stato condannato a 3 anni l’ex funzionario Sismi Pio Pompa“.
I 23 agenti americani, incluso l’ex capo stazione Cia di Milano, sono stati riconosciuti colpevoli di aver rapito l’egiziano Abu Omar, imam dell’Istituto islamico di Milano, e, nell’ambito di una cosiddetta operazione di “Rendition”, di averlo portato in Egitto, dove il religioso ha raccontato di essere stato torturato nel corso degli interrogatori e di essere stato detenuto per anni senza che gli venissero formalizzate accuse. All’epoca del rapimento, l’imam era imputato a Milano per terrorismo internazionale.
“Il rapimento di Abu Omar è stato voluto, programmato e attuato da un gruppo di agenti Cia che, in ottemperanza a quanto espressamente deciso in sede politica competente, ha operato a Milano e in Italia del nord nelle date precedenti al febbraio 2003 fino al compimento dell’atto, per poi abbandonare il territorio dello Stato nei giorni e nei mesi successivi allo stesso”, scrive il giudice.