ROMA. La disidratazione è stata la causa della morte di Stefano Cucchi, il 30enne romano deceduto nel carcere di Regina Coeli.
E questa la conclusione a cui è giunta la Commissione parlamentare dinchiesta sullefficacia e lefficienza e lappropriatezza delle cure prestate a Stefano Cucchi, che ha approvato all’unanimità la relazione finale. Il giovane, arrestato per possesso di sostanze stupefacenti, sarebbe dimagrito 10 chili in sei giorni durante la sua permanenza in carcere per poi essere trasferito all’ospedale “Pertini”, dove è morto il 22 ottobre 2009, dopo una settimana di agonia. La relazione sarà trasmessa alla Procura e al presidente del Senato, Renato Schifani.
Siamo arrivati a conclusioni molto chiare ha affermato il presidente della commissione parlamentare Ignazio Marino – a Stefano Cucchi, probabilmente, sono state inferte lesioni traumatiche che non sono la causa diretta della morte che è avvenuta per disidratazione legata alla volontà di Cucchi di richiamare su di sé l’attenzione dei suoi legali e del mondo esterno. Oltre che dalla disidratazione, la morte è stata dovuta anche all’eccessiva perdita di peso, 10 chili in 6 giorni. Quindi, a detta dei nostri consulenti, sarebbe servito un più attento monitoraggio delle condizioni cliniche. Ci sono certamente delle responsabilità dei medici, – ha aggiunto Marino – il nostro compito è di individuare quali siano state ma nello stesso tempo di invocare una piena e puntuale e completa attuazione di quel decreto del presidente del Consiglio del 2008 che indica con chiarezza che chi si trova in stato di detenzione ha gli stessi diritti alla salute di chi non si trova in quelle condizioni.
La decisione della Commissione è stata accolta con soddisfazione anche dalla famiglia di Cucchi che, dal giorno del decesso del ragazzo, ha iniziato una battaglia affinché si facesse luce sulla vicenda: Sono molto soddisfatta ha affermato Ilaria Cucchi, sorella di Stefano – perché la relazione parla chiaro: Stefano è stato vittima di un vero pestaggio. Ora spero che sia riconosciuta la preterintenzionalità delle guardie carcerarie e che la Procura tenga conto di questa relazione. Sono molto soddisfatta – ribadisce la sorella – perché la relazione conferma quanto noi abbiamo sostenuto sin dall’inizio, ovvero che le fratture ci sono e che sono recenti e compatibili con un pestaggio. Ora mi auguro – conclude – che la smettano con tutte le varie insinuazioni e che non ricomincino a parlare di altro come ad esempio di una caduta accidentale.