ROMA. Nessuna scissione dal Pdl, lo ribadisce ancora una volta Gianfranco Fini, che lunedì pomeriggio ha riunito nella Sala Tatarella, a Montecitorio, i parlamentari a lui più vicini.
“Tutti hanno capito che non è in discussione la nostra permanenza nel Pdl e nella maggioranza”, sottolinea. “Dobbiamo garantire la massima lealtà alla coalizione e al programma di governo” spiega il presidente della Camera. Per lui, dunque, il “punto fermo”delle esternazioni pubbliche di suoi sostenitori in Parlamento deve essere proprio questo: la “assoluta lealtà” a maggioranza e governo, oltre che agli elettori. “Sono qui per ascoltarvi, per sapere cosa ne pensate. Per far capire a chi va in tv o fa dichiarazioni che il nostro comportamento è di assoluta lealtà” dice Fini ai suoi. Poi, dopo aver ascoltato gli interventi – alcuni dei quali anche critici – dei parlamentari riuniti nella Sala Tatarella, lancia l’idea: “Facciamo un seminario, un convegno per illustrare le nostre proposte per un Pdl più forte”. Una delle date ipotizzate per la riunione è venerdì 14 maggio.
La riunione si è aperta con un applauso all’ex leader di An. Sul tavolo – nella prima riunione dopo la tumultuosa direzione di giovedì scorso che ha sancito di fatto la nascita di una minoranza nel Pdl – anche la questione delle dimissioni poste sul tavolo dal capogruppo vicario del Pdl alla Camera, Italo Bocchino. Nel vertice – al quale non dovrebbero aver preso parte tutti i 54 deputati e senatori rimasti fedeli all’ex leader di An – Fini ha dunque chiarito la rotta per i prossimi delicati passaggi parlamentari, a partire dalla legge sulle intercettazioni, confermando quanto detto domenica nel primo di una serie di passaggi televisivi (il prossimo martedì sera a Ballarò, improbabile invece una sua partecipazione ad Annozero) nei quali il presidente della Camera intende spiegare le ragioni politiche della sua divisione da Silvio Berlusconi. Impossibile sapere quanti finiani hanno preso parte all’incontro: come in occasione della riunione di martedì scorso, infatti, anche questa volta la sala della riunione è stata resa assolutamente off limits ai cronisti.
DIMISSIONI DI BOCCHINO. Dopo 16 anni circa di vita comune Berlusconi e Fini sono vicini alla rottura e gli scenari possibili sono quattro, come accade per i matrimoni: divorzio rovinoso, separazione consensuale, separazione in casa o ritorno alla vita coniugale. L’ultima ipotesi prevede che schiocchi la scintilla e ritorni l’amore. Mai dire mai, ma appare assai improbabile che accada. La prima è la peggiore perché il divorzio rovinoso sarebbe la fine del Pdl, del governo e della legislatura, con l’altissimo rischio di vedere la sinistra al governo nonostante la sua incapacità di avere consensi e di governare”. Lo scrive Italo Bocchino, Vice Presidente vicario del Pdl alla Camera, sul sito di Generazione Italia, l’associazioni interna al Popolo della Libertà. “Restano – scrive Bocchino – le ipotesi di separazione, con quella consensuale certamente meno traumatica del divorzio, ma comunque letale per il Pdl. Il nuovo partito del centrodestra, infatti, si fonda sulla convergenza tra Forza Italia e Alleanza Nazionale, ma anche tra Berlusconi e Fini e l’assorbimento in maggioranza degli ex colonnelli di An serve come maquillage, ma non risolve i problemi che una rottura con Fini creerebbe a Berlusconi anche in termini di consensi per quel che il presidente della Camera rappresenta nel paese e nella destra e che in tempi brevi e medi non è rimpiazzabile”. Secondo Bocchino, “resta una soluzione soltanto, la separazione in casa, che è poi una dinamica normale in ogni grande partito democratico. Vivere da separati in casa altro non è che dividersi in maggioranza e minoranza, con una veloce convocazione del congresso e regole certe per la convivenza, stabilendo con chiarezza che la minoranza non può sabotare partito e governo e che la minoranza ha diritto a veder dibattute le sue proposte nelle sedi di partito e a vedersi proporzionalmente rappresentata e tutelata negli spazi politici”. Adesso, scrive Bocchino, bisogna “costruire il grande partito democratico del centrodestra dove devono convivere sotto la leadership di Berlusconi due anime, una delle quali è la destra di Fini, attenta all’unità nazionale, alla coesione socio-economica, alla sicurezza, alla legalità, simile alle destre europee e occidentali e quindi attenta alle evoluzioni delle societa’ moderne. La sfida è questa e spetta a Berlusconi accettarla – conclude – scegliendo tra la scorciatoia del partito carismatico e la strada più lunga e tortuosa, ma più fruttuosa, del grande partito plurale e democratico”.
LABOCCETTA SCARICA FINI. Intanto, la componente finiana perde Amedeo Laboccetta, che la scorsa settimana aveva firmato il documento al termine della riunione dei finiani. “Ho espresso le mie preoccupazioni per la strada intrapresa e gli ho detto che non ci sto, non credo nelle correnti e quindi le nostre strade si separano” ha detto dopo un incontro con Fini. “Resto suo amico – ha aggiunto l’ex deputato di An – ma ho il pregio di parlare chiaro: questa fase non mi convince, nel Msi ho fatto parte della corrente dei romualdiani e non penso che questa sia la strada da percorrere. Fini la pensa diversamente e che cosa farà lo saprete al termine della riunione”.
LA BATTUTA DI BERLUSCONI.Prima dell’incontro coi fedelissimi, Fini era stato tirato in ballo anche se non esplicitamente dal premier Berlusconi. Se per litigare è necessario essere almeno in due, come evidenziato sabato a margine delle celebrazioni per la festa della Liberazione con Napolitano, per divorziare è sufficiente anche la volontà di uno soltanto: ha spiegato sarcasticamente il Cavaliere durante la conferenza stampa con Vladimir Putin a Villa Gernetto, replicando così a un giornalista che chiedeva il segreto di un “matrimonio felice” in politica. “Non ho avuto risultati particolarmente felici per i matrimoni – ha commentato Berlusconi con un evidente richiamo alla sua situazione personale (un divorzio già consumato e uno, quello con Veronica Lario, in fase di definizione) – quindi, mi astengo dal dare consigli”. Evidente il riferimento del premier alle tensioni con Fini, che hanno avuto il loro culmine giovedì scorso alla direzione nazionale del Pdl.