CASERTA. “Lo sapevo, lo sapevo… Ne ho sempre avuto la certezza… dentro di me. Tonino non è stato ammazzato…”.
Lo dice taleCiro, contrabbandiere della Sanità e amico di Antonio Bardellino, nel libro di Donatella Gallone “Per amore delle bionde. Uno scugnizzo a passeggio con i boss”. Il libro, uscito nel gennaio 2006 e diffuso solo a Napoli, è stato appena ripubblicato (per le edizioni ilmondodisuk) e proposto al salone del libro di Torino nell’Incubatore (adesso in distribuzione nazionale).
Nato a San Cipriano d’Aversa il 4 maggio 1945, Bardellino è stato capo indiscusso del clan dei Casalesi negli anni ’80 e tra i primi campani ad affiliarsi allamafia siciliana diCosa Nostra. Mentre i fratelli Zaza e Nuvoletta erano legati ai Corleonesi, Bardellino faceva riferimento a Rosario Riccobono, Stefano Bontate, Gaetano Badalamenti e Tommaso Buscetta, tutti esponenti delle famiglie palermitane caduti sotto i colpi dei Corleonesi o costretti a fuggire.
Viene ritenuto il fondatore del clan dei Casalesi, boss temuto e rispettato (una delle poche figure criminali a non avere un soprannome) intorno al quale per quasi un decennio si mosse unita una federazione di famiglie (Schiavone, Bidognetti, Zagaria, Iovine, Venosa) radicata in un territorio che andava dal Basso Lazio passando per l’agro aversano fino ad arrivare nel napoletano. Ciò che spinge a ritenere Antonio Bardellino l’iniziatore delle vicende del sodalizio camorristico di Casal di Principe e San Cipriano d’Aversa è la trasformazione da lui attuata al modo di agire del clan. I rituali di affiliazione rimasero, come pure gli omicidi, ma il salto di qualità fu rappresentato dalla continua infiltrazione nell’economia legale dei capitali provenienti dai traffici illeciti. Il riciclaggio è favorito dalla straordinarietà degli eventi, come il terremoto dell’Irpinia e la successiva ricostruzione (affare che spinse le famiglie a creare sia i consorzi per la produzione del calcestruzzo che le ditte esecutrici dei lavori di movimento terra, case e strade), e la grande capacità imprenditoriale di Bardellino stesso che era titolare insieme ad altri affiliati al clan di una ditta di import/export di farina di pesce, che in realtà nascondeva un colossale traffico di cocaina dal Brasile all’Italia.
Antonio Bardellino è stato uno degli esponenti principali del cartello denominato “Nuova Famiglia”, che si oppose allo strapotere della Nuova Camorra Organizzata di Raffaele Cutolo. Dopo quella guerra che produsse centinaia di vittime, i contrasti sorsero all’interno della Nuova Famiglia, tra Bardellino e i Nuvoletta. In Campania si ripropose lo scenario della seconda guerra di mafia combattuta in Sicilia tra i Corleonesi di Totò Riina e le famiglie Inzerrillo, Buscetta, Badalamenti, Bontate. Antonio Bardellino aveva avuto ordine dai Nuvoletta su mandato di Riina di uccidere Buscetta, circostanza che non portò a termine in quanto era molto amico del boss siciliano (condividevano lo stesso villino in Brasile durante la latitanza) e non accettava, oltre a non fidarsi, la supremazia dei fratelli Nuvoletta con l’interferenza dei siciliani. Questo atteggiamento gli valse la condanna a morte; infatti nei suoi ultimi anni di vita, dopo la scarcerazione “facile” in Spagna, altro episodio che lo rese famoso ed imprendibile, passava più tempo all’estero (Brasile, Santo Domingo) che in Italia. Lo scontro con i Nuvoletta si risolse a suo favore; si rese protagonista dell’attacco alla masseria di famiglia dei Nuvoletta a Marano, nel quale rimase ucciso uno dei fratelli. Mentre era all’estero condivise il progetto di “invadere” Torre Annunziata, città nevralgica per i suoi affari illeciti, che si esplicò nella strage al Circolo dei Pescatori di molti affiliati del clan Gionta, alleato dei Nuvoletta. Questa ulteriore vittoria permise ad Antonio Bardellino di estendere il suo dominio alla quasi totalità della provincia di Caserta e quella di Napoli. Il boss, latitante ricercato dall’Interpol, riusciva ad esercitare la sua forza criminale verso l’esterno senza ostacoli; ma la sua condanna arrivò da dissidi interni al gruppo d’origine.
Secondo le versioni ufficiali, Bardellino sarebbe stato ammazzato nel 1988 in Brasile nel suo villino a Buzios, località alla periferia di Rio de Janeiro, nell’ambito di una faida interna ai Casalesi. In molti usano il condizionale perché il suo corpo non è mai stato trovato e l’assassino, Mario Iovine, suo compare nel clan, sarebbe stato a sua volta assassinato in Portogallo nel 1991. Queste circostanze hanno alimentato e tutt’ora alimentano la leggenda che sia ancora vivo ed abbia lasciato il potere nelle mani delle altre cosche malavitose, in cambio della sopravvivenza dei suoi familiari. Questi, dopo la diffusione della notizia della morte del loro congiunto, lasciarono le loro abitazioni e paesi d’origine per rifugiarsi a Formia, dove tutt’ora risiedono.