POTENZA. Già nel settembre 2002 la polizia italiana informò il N.C.I.S. britannico (National Criminal International Service) che Danilo Restivo, coinvolto nella scomparsa di Elisa Claps a Potenza, da qualche tempo si era trasferito in Gran Bretagna nella città di Bournemouth.
Gli investigatori italiani segnalavano che abitava “proprio nella stessa zona in cui era stata ammazzata” il 12 luglio 2002 “in circostanze misteriose la studentessa coreana Jong-ok Shin“. Il documento viene mostrato in un servizio del Tg5 delle 20 di venerdì. L’informativa giunta dall’Italia rimase ignorata. La polizia inglese rispose “di aver tratto in arresto due persone responsabili dell’omicidio della ragazza”.
Solo due mesi dopo, però, nella villetta di fronte all’abitazione di Restivo fu assassinata e mutilata la vicina di casa, Heather Barnett, per cui l’italiano è l’unico sospettato. Jong-ok Shin, chiamata “Oki” dagli amici, fu uccisa a Malsmesbury Road Park, poco lontano dall’abitazione di Restivo, mentre tornava a casa dalla discoteca, da un uomo mascherato.
Per il suo assassinio è stato condannato all’ergastolo Omar Benguit al termine di un iter processuale molto discusso. Da molte parti ora si chiede la scarcerazione di Omar Benguit perché ritenuto innocente. “E’ stato condannato senza prove, senza riscontri del dna e senza alcuna prova scientificamente valida”, dichiara al Tg5 il professor Barry Loveday, ricercatore dell’Università di Portsmouth. Il professor Loveday in un dossier ha ripercorso le tappe del processo. La principale teste d’accusa utilizzata dalla polizia fu una giovane prostituta tossicomane , sorpresa a rubare in un negozio. La sua versione crollò al primo processo quando, fra le tante contraddizioni, emerse che la persona indicata da lei come complice di Omar in realtà all’ora dell’omicidio si trovava dall’altra parte della città. Nonostante questo Omar Benguit fu condannato a vita nel terzo processo quando spuntò dal nulla un nuovo testimone che dichiarò di aver visto Omar affilare un coltello.
Al Tg5 Barry Loveday ha definito la condanna di Omar Benguit “profondamente ingiusta, un grave errore giudiziario e la negazione di ogni principio di giustizia”. La famiglia di Omar Benguit e il difensore, Giovanni di Stefano, chiedono la riapertura del caso e che si indaghi anche per la morte di “Oki” Shin su Danilo Restivo. Secondo quanto rivelato dall’avvocato Di Stefano – un elemento tenuto nascosto alla difesa – a Oki l’assassino tagliò una ciocca di capelli. Un elemento – dice il Tg5 – che potrebbe collegare la sua morte ai casi di Heather Barnett e di Elisa Claps.