AVERSA. Tra i 14 arrestati, giovedì mattina, nell’ambito dell’operazione contro la fazione Bidognetti del clan dei Casalesi ce anche uno dei difensori storici del boss Francesco Bidognetti: lavvocato Carmine DAniello, 45 anni, di Aversa, accusato di partecipazione ad associazione mafiosa.
Lindagine, coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli e condotta del comando provinciale di Caserta, ha consentito di accertare la piena titolarità, da parte di Francesco Bidognetti, detto Cicciotto e mezzanotte, del ruolo di leader del gruppo criminale, nonostante la detenzione in regime di 41 bis, attraverso il determinante apporto dellavvocato tratto in arresto, quale messaggero tra i singoli partecipi ed i vertici del sodalizio criminale.
Scoperta una consistente attività di riciclaggio attuata attraverso la gestione di agenzie di onoranze funebri e di imprese edili. Rilevante anche la condotta illecita finalizzata ad intestare a prestanome beni mobili ed immobili, riconducibili invece proprio al Bidognetti. In tale contesto spicca la figura di Carmine Diana, 56 anni, imprenditore, titolare della Impregica, già emersa nellinchiesta sui grandi appalti del G8 alla Maddalena.
Esterina Pagano |
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Cinque degli arrestati si trovavano già in carcere e hanno ricevuto il provvedimento in cella: tra questi lo stesso boss Bidognetti,Giovanni Letizia, componente dell’ala stragista facente capo al boss Giuseppe Setola, Armando Letizia, 57 anni, Gaetano Pagano, 58, Esterina Pagano, 53. Gli altri 9 sono stati arrestati nelle proprie abitazioni: l’avvocato D’Aniello e l’imprenditore Diana, Rosa Maione, 44, Teresa Pagano, 61, Cipriano Pagano, 28, Maria Pagano, 59, Luigi Tamburrino, 46, Vincenzo Di Bona, 50,e il genero di Bidognetti, Giovanni Lubello, 34.
L’AVVOCATO “PORTAVOCE” DEL BOSS. Oltre a fare da portavoce di Francesco Bidognetti, secondo l’accusa, l’avvocato teneva i contatti con altri clan camorristici, custodiva il denaro dell’organizzazione e si occupava di investirlo. In una circostanza, per intimidire il boss dei casalesi Luigi Guida che sembrava prossimo a diventare collaboratore di giustizia, D’Aniello si servì di un’ignara giornalista casertana: le rivelò il contenuto di alcuni verbali di interrogatorio resi da Guida affinché la vicenda diventasse pubblica e il boss ritrattasse. Per intercettare le conversazioni tra D’Aniello e Bidognetti, “cimici” sono state installate nella sala colloqui del carcere dell’Aquila e nelle sale da cui il boss si collegava in videoconferenza con i giudici in occasione delle udienze. Molti dei colloqui tra i due vertono sulla decisione di collaborare con la giustizia di Domenico Bidognetti, cugino di Francesco, al quale il clan, per ritorsione, uccise il padre. Dopo aver revocato il mandato ai suoi legali casertani, Domenico Bidognetti ufficializzò il suo pentimento e nominò una avvocatessa di Montepulciano. Ritenendola responsabile del pentimento, i casalesi cominciarono allora a minacciare pesantemente la donna, che da tre anni vive sotto scorta.
L’ISTANZA DEL BOSS CONTRO SAVIANO. L’avvocato D’Aniello è uno dei due legali che firmarono e depositarono, nel 2008, l’istanza con la quale lo stesso Bidognetti e il superlatitante Antonio Iovine chiesero il trasferimento a Roma del processo a loro carico per “legittimo sospetto”. In quella istanza i boss rivolgevano accuse allo scrittore Roberto Saviano, all’ex pm della Dda Raffaele Cantone ed alla giornalista Rosaria Capacchione. Alcuni passaggi dell’istanza furono letti il 13 marzo 2008 nell’aula bunker di Poggioreale dove, davanti alla Corte di Assise di Appello di Napoli, si stava celebrando il processo “Spartacus”. I boss accusavano il magistrato di aver condizionato le dichiarazioni accusatorie dei pentiti, nonché Saviano e la giornalista di aver sostenuto con i loro articoli (che denunciavano, tra l’altro, il sistema di collusioni con ambienti istituzionali) la strategia della procura. La lettura in aula di quel documento fu considerata una sorta di minaccia pubblica contro Saviano, Cantone e Capacchione, sollevando polemiche e numerose reazioni di solidarietà – tra cui quella del presidente Napolitano – nei confronti degli interessati. Le minacce pubbliche dei boss furono considerate il primo inquietante segnale di una nuova strategia aggressiva dei Casalesi: dopo poche settimane ebbe inizio la lunga scia di sangue voluta dall’ala stragista del clan, che culminò a settembre nell’uccisione di sei immigrati a Castel Volturno.
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MINACCE E SOLDI AI PENTITI PER RITRATTARE.
Lei, Anna Carrino, compagna di un boss. Lui, Domenico Bidognetti, alias “Bruttaccione”, cugino del boss e figlio di chi fu ucciso con tredici colpi di arma da fuoco per una vendetta della camorra; lui stesso, ha ammesso, ha ucciso decine di persone. Collaboratori di giustizia, entrambi, in questi anni, sono stati più volte indotti alla ritrattazione: e a farlo sono stati capi e gregari della fazione Bisognetti dei Casalesi oggi arrestati. Ai 14 indagati, destinatari delle ordinanze di custodia cautelare in carcere emesse, su richiesta della Dda partenopea viene, infatti, contestato anche il tentativo di indurre alla ritrattazione, con minacce e promesse di danaro, alcuni collaboratori di giustizia, tra cui Domenico Bidognetti e Anna Carrino.
L’ODIO DEL BOSS PER IL CUGINO. Domenico è il cugino di Francesco Bidognetti, il capo dei capi ora in carcere. Suo padre, Umberto, fu ucciso il 2 maggio del 2008 a Cancello Arnone, in un’azienda zootecnica che gestiva, per una vendetta trasversale. Fu ucciso con 12 colpi d’arma da fuoco ed un tredicesimo alla testa dal gruppo stragista di Giuseppe Setola. Domenico tempo fa andò in tv e a tutti disse: “La camorra non protegge nessuno, dà solo morte, terrore e veleni. Ai capi clan dico: se avete coraggio pentitevi, altrimenti resterete vigliacchi”. E poi c’é Anna, pentita anche lei. Compagna di Francesco Bidognetti, dopo essere sfuggita ad un agguato nel quale rimase gravemente ferita la sorella e la figlia di quest’ultima, fu arrestata e lanciò un appello agli affiliati. Anche al suo compagno, papà dei suoi tre figli. Chiaro fu il suo messaggio: pentitevi.
L’odio nutrito da Francesco Bidognetti per il cugino pentito e per l’avvocatessa si evince da una conversazione tra il boss detenuto in regime di 41 bis e l’avvocato D’Aniello intercettata il 28 settembre 2007 in occasione di una videoconferenza. L’avvocato riferisce di aver sentito parlare Domenico Bidognetti e di essere stupito che parlasse in italiano corretto. Bidognetti: No, quell’avvocato gli ha fatto un corso accelerato… D’Aniello: Un corso accelerato di italiano. Bidognetti: Ah, un corso accelerato. Ma chi è quello femmina o uomo? (si riferisce alle immagini in video) D’Aniello: E’ femmina, sarebbe l’avvocato che… Bidognetti: E’ quella che l’ha fatto pentire… D’Aniello: Eheee Bidognetti: Questa zozzosa come lui!. Quindi il boss si accomiata, non senza rivolgere altri insulti al cugino. Bidognetti: Salutami i miei parenti li… D’Aniello: Si, ve li saluto. Bidognetti: Digli che stanno a casa in grazia di Dio. D’Aniello: Si, si, si non vi preoccupate. Bidognetti: Che non lo pensassero a questo cornuto….