ROMA. Le conseguenze della manovra finanziaria sugli stipendi dei principali attori della scuola ne dimostrano la profonda iniquità.
Una sorta di regola di Robin Hood rovesciata: togliere di più a chi ha di meno (insegnanti e personale Ata: tra 11 e 15% di minori entrate rispetto a quelle contrattualmente definite per il prossimo triennio per circa metà del personale), salvaguardando nella sostanza chi ha di più, dai dirigenti dellamministrazione (meno 2,5% in media) ai direttori generali e ai sottosegretari (meno 6%). Colpisce, in particolare, che il taglio è del solo 5% per chi guadagna tra 90 e 150mila euro allanno (quindi fino a 90mila euro, che è un ragguardevole stipendio, considerando i 24mila euro medi degli insegnanti il taglio è dello 0%), e che il 10% si applichi solo per limporto eccedente i 150mila euro.
Ma anche se questa clamorosa ingiustizia, sorprendente per un governo così attento ai sondaggi e alle reazioni dellopinione pubblica, fosse corretta nel senso, per esempio, di eliminare la superfranchigia dei 90mila euro, la ricaduta sulla manovra sarebbe modesta, perché modesto è il numero degli interessati, qualche centinaio nel Miur, mentre il restante personale supera il milione di unità e quindi assicura, dal punto di vista macroeconomico del ministero dellEconomia, risparmi incomparabilmente maggiori.
E la legge dei grandi numeri, la stessa che ha inchiodato la scuola italiana a bilanciare lelevato numero di addetti con bassi livelli retributivi e nessuna carriera. Ma non è un motivo valido per non richiedere a tutti gli stessi sacrifici, anzi. Ecco perché sarebbe comunque giusto che la franchigia fosse eliminata.
Certo è, infatti, che i sacrifici sarebbero più sopportabili se almeno fossero percepiti come equi. Vale per tutti, anche per i magistrati, che dovrebbero spiegare al personale delle aule di giustizia perché decidono di scioperare contro il taglio dei loro consistenti stipendi, colpiti proporzionalmente assai meno delle magre buste paga degli impiegati.