L’informazione resta in silenzio contro ddl intercettazioni

di Emma Zampella

 Il silenzio che fa parlare di sé e per sé. Il ddl sulle intercettazioni proposto dal Governo è definito da gran parte della stampa inaccettabile, tanto chegli addetti ai lavorihanno deciso di mettersi da soli il “bavaglio” per una giornata.

Le modalità dello sciopero, per i giornalisti e le testate che hanno deciso il silenzio nella giornata del 9 luglio, sono state varie, differenziate dalla modalità del mezzo di comunicazione. Lo sciopero confluirà in Piazza Navona a Roma, dove prenderanno parola i giornalisti della carta stampata, che fermeranno le loro indagini dalla giornata di venerdì 8, impedendone l’uscita dei quotidiani per il giorno 9. Per le agenzie di stampa, il lavoro si fermerà a partire dalle ore 7:00 di venerdì 9 per 24 ore, mentre per le testate on-line l’attività di informazione si fermerà dalle ore 6 del 9 luglio, anch’essa per 24 ore. Paralizzata è tutta la categoria anche nelle sue accezioni non professioniste rappresentate dai giornalisti free-lance, pubblicisti, corrispondenti e ogni forma di collaboratori. A paralizzarsi è anche il giornalismo televisivo, che non garantirà tutte le edizioni giornaliere per i giorni 9 e 10 luglio.

La mobilitazione della stampa, intesa come organo comunicativo, è stata di massa: non avranno il loro numero in edicola “La Repubblica”, “Il Corriere della Sera”, “Il Sole 24 ore”, “La Stampa”, “Il Messaggero”, “Il Mattino”, “Il Fatto Quotidiano”, “L’Unità”, “Il Manifesto”. Anche se le voci fuori dal coro non sono mancate: quindi quotidiani come “Il Foglio”, “Il Riformista” pubblicano editoriali per rimarcare la loro posizione di non adesione al silenzio generale dell’informazione. Non a caso Giuliano Ferrara ha detto dalle colonne del suo giornale che: “Non possiamo scioperare uniti e compatti contro la nostra linea editoriale, contro le nostre idee. Non che tutti la pensiamo allo stesso modo, qui al Foglio. C’é anche chi sciopera. Ma all’ingrosso circola una sensazione ben riassunta nell’appello della privacy come diritto primario di libertà, da noi pubblicato nei giorni scorsi. Il movimento contro la legge bavaglio cosiddetta”, prosegue il direttore del Foglio “può avere delle ragioni tecnico-legislative, ma ha purtroppo per scopo evidente difendere lo stato di cose presente, l’eccezione italiana, la riproposizione sulla stampa e in tv di nastri intercettati in cui persone, faccende private, libertà grandi e minute sono sottoposte a gogna”.

Secondo altri la mobilitazione non ha effetto per far modificare il ddl intercettazioni. Forse per questa tipologia di giornalisti, il diritto di informare viene inteso a senso unico: il giornalista non deve fare cronaca solo rispondendo ad un obbligo deontologicamente molto forte. Il diritto all’informazione è prima di tutto un diritto dell’utente che usufruisce del servizio di cronaca: sapere è un dovere che il cittadino in quanto membro sociale deve adempiere. Forse non farà scena un gruppo di giornalisti che imbavagliati si muovono verso una piazza, ma se già a Napoli si vedono statuette del presepe imbavagliate, vuol dire che la proposta di mobilitazione ha avuto il suo effetto. A spiegarlo è anche la Federazione nazionale della stampa che parla di un grido di allarme di chi si preoccupa per gli effetti che avrà la nuova legge sulle intercettazioni: limiti forti alla possibilità di diffondere notizie, di fare informazione.

I giornalisti, secondo quanto espresso dal decreto, avranno una sorta di guida nell’edificazione del tessuto delle loro notizie: la scelta di imporre una limitazione alla trascrizione delle carte processuali, trasferibili come notizia solo in formato di riassunto, aumenta il pericolo che il contenuto di ogni documento possa essere riportato in modo lacunoso o errato. La limitazione riguarda anche gli stessi imputati o gli arrestati che non potranno, secondo il decreto, disporre del materiale che li riguarda, delle decisioni del giudice per far valere la propria ragione. La tutela alla privacy va a giustificare queste scelte, la quale tutela però termina fino al dibattimento, quando le intercettazioni potranno essere pubblicate e quindi venire a conoscenza dei soggetti incriminati. Ma il bavaglio alle intercettazioni è solo la parte saliente del decreto che nasconde limiti al diritto di cronaca ancor più forti: nessun colloquio registrato potrà mai più essere reso noto fino alla celebrazione del processo, così come gli atti di indagine anche non più segreti, perché ormai conosciuti dalle parti. Tutto in nome della privacy come sostengono i promulgatori del decreto, volti a voler tutelare un diritto fondamentale dell’individuo. Il diritto alla riservatezza e quello alla cronaca sono la base di molte democrazie, perché non potrebbero esserlo dell’Italia, convivendo l’uno accanto all’altro? E poi con la futura legge sulle intercettazioni quale privacy si vuole tutelare? Di colui che del servizio dell’informazione deve usufruire o di colui che le informazioni le deve dare nascondendo le sue malefatte, come le ha definite Roberto Saviano dall’editoriale di Repubblica? Si pensa al diritto della privacy che però ha già un suo complesso normativo, così come voluto dalla legge 65 del 1996 che allo stesso tempo va a tutelare il diritto di cronaca, altro diritto fondamentale dell’individuo.

La cosa che stupisce, inoltre, è la celerità con cui si vuole approvare il decreto, facendo denotare un’emergenza che in realtà non sussiste. Le sedute alla Camera sono state addirittura prorogate fino ai primi di agosto, destando preoccupazione per una materia che sembra essere già tutelata nel modo migliore. Quindi i tempi sarebbero maturi affinché anche la stessa maggioranza che spinge verso la realizzazione del decreto in legge si renda conto di dover fare qualche passo indietro.

Per non parlare, poi, dello scontro politico che fa cadere nell’ilarità tutta la materia. “Ero e resto convinto che sia una legge sacrosanta che ricalca un ddl approvato con una maggioranza bulgara ai tempi del governo di sinistra. Eppure allora nessuno parlò di legge bavaglio e di attentato alla libertà. Per la sinistra la democrazia e la libertà esistono solo quando governano loro” ha detto il premier, Silvio Berlusconi, definendo il ddl sulle intercettazioni non un ostacolo alla mafia e continua: “E’ anzi vero assolutamente il contraio. Il ddl – ha detto il premier – non modifica le indagini. Non un solo reato è stato sottratto alle intercettazioni. Ne abbiamo anzi aggiunto uno: quello dello stalking. Questo – prosegue il premier- è il governo che ha fatto di più e meglio nella lotta alla criminalità in 60 anni sequestrando beni per 12 miliardi di euro, arrestando 5.600 presuntui mafiosi tra cui 26 dei 30 più pericolosi”.

La risposta prontamente arriva da Pierluigi Bersani: “La propaganda e i diversivi sono inaccettabili, senza capo ne coda. Se Berlusconi vuole fare una legge come era la nostra, si prenda le proposte che stanno al Senato e le approvi. Che la sua legge sia sacrosanta lo sostiene solo lui. Questa legge – afferma Bersani – è un colpo alla legalità, alle indagini e alla libertà di informazione. La nostra sarà un’opposizione nettissima e noi siamo solidali con i giornalisti e con chi protesta perché si attacca la libertà di informazione ma si stanno anche abbassando gli strumenti per la lotta alla legalità”. Per il leader del Pd, “Berlusconi faccia meno battute e si predisponga a ragionare”.

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