Denunciò la ‘ndrangheta e fu sciolta nell’acido: 6 arresti

di Redazione

Lea GarofaloMONZA.Sei ordinanze di custodia cautelare in carcere notificate nella notte nell’ambito dell’inchiesta sulla scomparsa della collaboratrice di giustizia calabrese Lea Garofalo, uccisa e sciolta nell’acido in un terreno a San Fruttuoso, vicino a Monza.

35 anni, ex collaboratrice di giustizia e compagna di uno dei soldati della faida dei calabresi di Petilia Policastro (Crotone) trapiantati a Milano, Lea era sparita tra il 24 e il 25 novembre scorsi. Prima di essere assassinata, sarebbe stata “interrogata” dai suoi esecutori.Nel 2002 aveva iniziato a collaborare con l’Antimafia nelle indagini sulla faida tra i Garofalo e il clan rivale dei Mirabelli. Poi, nel 2006, aveva abbandonato il piano di protezione e lasciato la località segreta dove viveva. Nelle sue dichiarazioni, la Garofalo aveva parlato anche degli omicidi di mafia avvenuti alla fine degli anni Novanta a Milano. Come quello di Antonio Comberiati, nel 1995, nel quale era stato coinvolto anche il fratello.

ARRESTI. Gli arresti sono stati eseguiti tra Lombardia, Calabria e Molise e sono in corso perquisizioni. Due mandati di arresto sono stati notificati in cella a Carlo Cosco – 40 anni, coinvolto in inchieste antimafia alla fine degli anni Novanta a Milano e cugino di Vito Cosco, autore della strage di Rozzano (Milano) che lasciò a terra quattro morti per questioni di droga nell’agosto del 2003, ex convivente della donna dalla relazione è nata una figlia ora maggiorenne – e a Massimo Sabatino, 37 anni – spacciatore di Quarto Oggiaro. I due erano già stati arrestati a febbraio per un precedente tentativo di sequestro, avvenuto a Campobasso nel maggio dell’anno scorso, con lo scopo di uccidere la Garofalo per vendicarsi delle dichiarazioni da lei rese agli inquirenti, a partire dal 2002, contro alcuni affiliati alle cosche della ‘ndrangheta di Petilia Policastro (Crotone). Il 24 febbraio scorso erano state arrestate in Molise altre due persone per aver messo a disposizione alcuni capannoni (nel Milanese) dove la donna sarebbe stata portata dopo la scomparsa. Gli altri quattro destinatari del provvedimento sono i fratelli Giuseppe “Smith” Cosco e Vito “Sergio” Cosco, e altre due persone, una delle quali accusata solo di distruzione di cadavere.

AGGUATO. Secondo l’indagine, Carlo Cosco ha organizzato l’agguato teso a Lea Garofalo mentre questa si trovava a Milano con la figlia. Proprio con il pretesto di mantenere i rapporti con la ragazza, legatissima alla madre, Cosco ha attirato la sua ex a Milano nello stabile di viale Montello 6, un palazzo che ospita molti parenti dei caduti della guerra di mafia. Lo scorso 24 novembre Lea partecipò a una riunione di famiglia per decidere dove la figlia avrebbe proseguito gli studi dopo le superiori. Le sue tracce si sono perse nel pomeriggio quando alcune telecamere l’hanno inquadrata nella zona del palazzo e lungo i viali che costeggiano il cimitero Monumentale. La figlia e il padre erano alla stazione Centrale ad attenderla insieme al treno che avrebbe dovuto riaccompagnarla al Sud. Almeno quattro giorni prima del rapimento, Cosco aveva predisposto un piano contattando i complici, assicurandosi sia il furgone dove è stata caricata a forza, sia la pistola per ammazzarla “con un colpo”, sia il magazzino o il deposito dove interrogarla, e infine l’appezzamento dove si ritiene sia stata sciolta nell’acido. La distruzione del cadavere ha avuto lo scopo di “simulare la scomparsa volontaria” della collaboratrice e assicurare l’impunità degli autori materiali dell’esecuzione.

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