Berlusconi apre a Bersani: “Piano bipartisan”. Pd: “Prima si dimetta”

di Redazione

Silvio Berlusconi ROMA.In una lettera al Corriere della Sera, il premier Silvio Berlusconi chiede di dare una ”frustata al cavallo dell’economia”, attraverso liberalizzazioni sull’esempio della Germania dei governi Schroeder e Merkel.

E qui, a sorpresa, propone al segretario del Pd, Pierluigi Bersani, un piano bipartisan per la crescita, agendo “insieme in Parlamento senza pregiudizi ed esclusivismi”. Pur rimproverandolodi essersi unito al ”coro dei moralisti”, il Cavaliere riconoscea Bersani”pragmatismo e sensibilità per le liberalizzazioni”.Quelle liberalizzazioni che proprio Bersani, quand’era ministro del precedente governo Prodi, ha posto in essere. Un progetto il cui fulcro sia la riforma costituzionale dell’articolo 41, “annunciata da mesi dal ministro Tremonti, e misure drastiche di allocazione sul mercato del patrimonio pubblico e di vasta defiscalizzazione a vantaggio delle imprese e dei giovani”.

Sul piatto la tassa patrimoniale: “Prima di mettere sui ceti medi un’imposta che impaurisce e paralizza, imposta che peraltro sotto il mio governo non si farà mai, – scrive il premier – pensiamo a uno scambio virtuoso, maggiore libertà e incentivo fiscale all’investimento contro aumento della base impositiva oggi nascosta. Se a questo aggiungiamo gli effetti positivi, di autonomia e libertà, della grande riforma federalista, si può dire che gli atteggiamenti faziosi, ma anche quelli soltanto malmostosi e scettici, possono essere sconfitti, e l’Italia può dare una scossa ai fattori negativi che gravano sul suo presente, costruendosi un pezzo di futuro”. “Non mi nascondo – continua Berlusconi – il problema della particolare aggressività che, per ragioni come sempre esterne alla dialettica sociale e parlamentare, affligge il sistema politico. Ne sono preoccupato come e più del presidente Napolitano“.

PD: “SI AL CONFRONTO, MA PREMIER SI DIMETTA”. “L’uscita di Berlusconi arriva a tempo scaduto, queste cose le chiediamo da due anni, per due anni Berlusconi ha detto che tutto andava bene. – dice Enrico Letta, vicesegretario del Pd – Noi diciamo sì al confronto su quei temi, ma questo confronto lo faremo o con un nuovo premier di centrodestra oppure lo faremo con Berlusconi stesso, ma in campagna elettorale. Crediamo che non sia la patrimoniale lo strumento giusto in questo momento per rilanciare l’economia, c’è bisogno di crescita, le riforme per la crescita sono le riforme per liberare l’economia italiana”. “L’onorevole Berlusconi mi sembra un giocatore di calcio che vorrebbe continuare la partita anche quando il tempo scaduto. – replica il coordinatore della segreteria Pd, Maurizio Migliavacca – Il tempo del suo governo è scaduto. Berlusconi ha avuto tre anni per fare le cose che dice e non le ha fatte. Inoltre è scaduto anche il tempo della sua credibilità. Berlusconi è alla ricerca disperata di una via d’uscita”. Sulla proposta di Berlusconi di modificare l’articolo 41 della Costituzione, Migliavacca osserva: “Il problema economico dell’Italia non è la Costituzione che, comunque, garantisce ampiamente la libertà di iniziativa economica. Quanto alla patrimoniale, penso che si ponga il tema della redistribuzione del reddito, e quindi del concorso da parte chi ha di più ai sacrifici per ridurre il debito pubblico, al di là dello strumento che può essere opinabile”.

UDC:”MEGLIO TARDI CHE MAI”. “Finalmente anche Berlusconi sembra rendersi conto che l’Italia cresce meno degli altri Paesi europei e che questo si traduce in maggiore disoccupazione per i giovani e le donne in particolare. – dice il segretario dell’Udc, Lorenzo Cesa – Il presidente del Consiglio propone un patto per le liberalizzazioni, ma dimentica la timidezza e la reticenza con cui il suo governo in questi tre anni ha affrontato la questione. Se oggi è pronto all’autocritica non possiamo che prenderne atto con soddisfazione: meglio tardi che mai”.

BOCCHINO: “PROPOSTA INUTILE, SEGNO DI DEBOLEZZA”. “La proposta di Berlusconi per un patto per lo sviluppo è tardiva e, soprattutto, rappresenta un segnale evidente della sua debolezza. – commenta Italo Bocchino, capogruppo Fli alla Camera – Essendo alla vigilia di un inevitabile crollo, il premier propone tutto ciò che non ha saputo fare. Come Ben Ali quando ha promesso di aumentare gli stipendi o Mubarak quando ha fatto dimettere il governo. Anche in questo caso si tratterà di un tentativo inutile e a questo punto l’alternativa resta solo quella tra le dimissioni di Berlusconi per favorire una nuova ampia maggioranza di centrodestra e le elezioni anticipate”.

IDV: “PROPOSTA ORRENDA, VADA A CASA”. “La proposta di Berlusconi è irricevibile: può solo fare una cosa per il Paese, dimettersi. – dice il portavoce dell’Idv, Leoluca Orlando – La sua proposta è irricevibile sia in termini di merito che di metodo perché, in 10 anni di governo, il presidente del Consiglio ha massacrato il principio di liberalizzazione, non curandosi degli effetti sociali e costruendo mostruosi monopoli che sono l’esatto opposto della liberalizzazione”. “La proposta del presidente del Consiglio ci sembra un tardivo segnale di resipiscenza operosa. – dice Nello Formisano (Idv), vicepresidente della commissione bicamerale per la Semplificazione – Siamo fuori tempo massimo, il Cavaliere cerca di aggrapparsi alle ragnatele, ma l’unica soluzione è che lasci il governo del Paese, restituendo la parola al popolo sovrano”.

RUTELLI: “E’ UN INGANNO”. “Un presidente del Consiglio, se è in carica, presenta delle proposte di legge per la crescita e le liberalizzazioni, non scrive articoli. – dice il leader di Alleanza per l’Italia Francesco Rutelli – E’ un inganno, Berlusconi è al potere da otto degli ultimi dieci anni: perché non ha fatto le riforme? L’Italia ha bisogno di una larga coalizione, tutte queste schermaglie politiche e gli scandali sessuali non affrontano il nodo di sostanza, e cioè che il Paese è fermo”.

BONINO: “ORMAI E’ TARDI”. “Penso che per Silvio Berlusconi sia tardi, in termini di credibilità e di impegno, perché non ha fatto nulla di quel che aveva promesso negli ultimi anni. – dice la vicepresidente del Senato, Emma Bonino. Mi viene difficile pensare che lui possa per esempio farsi carico di una riforma della giustizia per come la vorremmo noi Radicali. Certo, se c’è qualche spazio va sempre colto, ma Berlusconi non è più credibile”. Bonino ha poi liquidato con un ‘ma per favore!’ ogni voce di avvicinamento o addirittura ingresso dei Radicali al governo, mentre sulla proposta di alleanza larga anti Berlusconi fatta domenica da D’Alema, osserva “Nasce dall’idea, infondata, che il problema in questo paese si chiami solo Silvio Berlusconi e che gli altri siano tutti stinchi di santo. Sappiamo che non è così e che i problemi che abbiamo purtroppo sono molto più gravi. Il Paese non può precipitare verso elezioni anticipate che si terrebbero in condizioni non democratiche. Occorre invece costruire una alternativa nel segno della legalità e della democrazia”.

La lettera di Berlusconi al Corriere:

Gentile direttore,
il suo giornale ha meritoriamente rilanciato la discussione sul debito pubblico mostruoso che ci ritroviamo sulle spalle da molti anni, sul suo costo oneroso in termini di interessi annuali a carico dello Stato e sull’ostacolo che questo gravame pone sulla via della crescita economica del Paese. Sono d’accordo con le conclusioni di Dario Di Vico, esposte domenica in un testo analitico molto apprezzabile che parte dalle due proposte di imposta patrimoniale, diversamente articolate, firmate il 22 dicembre e il 26 gennaio da Giuliano Amato e da Pellegrino Capaldo. Vorrei brevemente spiegare perché il no del governo e mio va al di là di una semplice preferenza negativa, “preferirei di no”, ed esprime invece una irriducibile avversione strategica a quello strumento fiscale, in senso tecnico-finanziario e in senso politico.
Prima di tutto, se l’alternativa fosse tra un prelievo doloroso e una tantum sulla ricchezza privata e una poco credibile azione antidebito da “formichine”, un gradualismo pigro e minimalista nei tagli alla spesa pubblica improduttiva e altri pannicelli caldi, staremmo veramente messi male. Ma non è così. L’alternativa è tra una “botta secca”, ingiusta e inefficace sul lungo termine, e perciò deprimente per ogni prospettiva di investimento e di intrapresa privata, e la più grande “frustata” al cavallo dell’economia che la storia italiana ricordi. Il debito è una percentuale sul prodotto interno lordo, sulla nostra capacità di produrre ricchezza. Se questa capacità è asfittica o comunque insufficiente, quella percentuale di debito diventa ingombrante a dismisura. Ma se riusciamo a portare la crescita oltre il tre-quattro per cento in cinque anni, e i mercati capiscono che quella è la strada imboccata dall’Italia, Paese ancora assai forte, Paese esportatore, Paese che ha una grande riserva di energia, di capitali, di intelligenza e di lavoro a partire dal suo Mezzogiorno e non solo nel suo Nord europeo e altamente competitivo, l’aggressione vincente al debito e al suo costo annuale diventa, da subito, l’innesco di un lungo ciclo virtuoso.
Per fare questo occorre un’economia decisamente più libera, poiché questa è la frustata di cui parlo, in un Paese più stabile, meno rissoso, fiducioso e perfino innamorato di sé e del proprio futuro. La “botta secca” è, nonostante i ragionamenti interessanti e le buone intenzioni del professor Amato e del professor Capaldo, una rinuncia statalista, culturalmente reazionaria, ad andare avanti sulla strada liberale. La Germania lo ha fatto questo balzo liberalizzatore e riformatore, lo ha innescato paradossalmente con le riforme del socialdemocratico Gerhard Schröder, poi con il governo di unità nazionale, infine con la guida sicura e illuminata di Angela Merkel. E i risultati sono sotto gli occhi di tutti: la locomotiva è ripartita. Noi, specialmente dopo il varo dello storico accordo sulle relazioni sociali di Pomigliano e Mirafiori, possiamo fare altrettanto.
Non mi nascondo il problema della particolare aggressività che, per ragioni come sempre esterne alla dialettica sociale e parlamentare, affligge il sistema politico. Ne sono preoccupato come e più del presidente Napolitano. E per questo, dal momento che il segretario del Pd è stato in passato sensibile al tema delle liberalizzazioni e, nonostante qualche sua inappropriata associazione al coro strillato dei moralisti un tanto al chilo, ha la cultura pragmatica di un emiliano, propongo a Bersani di agire insieme in Parlamento, in forme da concordare, per discutere senza pregiudizi ed esclusivismi un grande piano bipartisan per la crescita dell’economia italiana; un piano del governo il cui fulcro è la riforma costituzionale dell’articolo 41, annunciata da mesi dal ministro Tremonti, e misure drastiche di allocazione sul mercato del patrimonio pubblico e di vasta defiscalizzazione a vantaggio delle imprese e dei giovani.
Lo scopo indiretto ma importantissimo di un piano per la crescita fondato su una frustata al cavallo di un’economia finalmente libera è di portare all’emersione della ricchezza privata nascosta, che è parte di un patrimonio di risparmio e di operosità alla luce del quale, anche secondo le stime di Bruxelles, la nostra situazione debitoria è malignamente rappresentata da quella vistosa percentuale del 118 per cento sul Pil. Prima di mettere sui ceti medi un’imposta patrimoniale che impaurisce e paralizza, un’imposta che peraltro sotto il mio governo non si farà mai, pensiamo a uno scambio virtuoso, maggiore libertà e incentivo fiscale all’investimento contro aumento della base impositiva oggi nascosta. Se a questo aggiungiamo gli effetti positivi, di autonomia e libertà, della grande riforma federalista, si può dire che gli atteggiamenti faziosi, ma anche quelli soltanto malmostosi e scettici, possono essere sconfitti, e l’Italia può dare una scossa ai fattori negativi che gravano sul suo presente, costruendosi un pezzo di futuro.
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