Soluzioni alternative alla patologia del precariato nella scuola

di Gennaro Pacilio

 Il problema del precariato è enorme non perché è stato gridato nei giorni scorsi in cento piazze d’Italia; non è enorme perché anche il ministro Gelmini lo ha finalmente ammesso; non è enorme perché riguarda più di 100 mila docenti e più di 60 mila amministrativi, tecnici e ausiliari delle scuole statali.

È enorme perché è un fenomeno strutturale del sistema di istruzione italiano. È enorme perché le sue dimensioni hanno raggiunto livelli patologici: mediamente il personale precario con rapporto di lavoro annuale o fino al termine delle attività didattiche è dell’ordine del 15% in Italia, con punte del 30% in alcuni territori. La patologia, come qualsiasi malattia, non si cura con interventi normali, ma con provvedimenti straordinari, alternativi, nuovi, coraggiosi.

Quando il ministro Gelmini dichiara di aver concordato con il collega Tremonti la prossima immissione in ruolo di 20-30 mila precari, dice una cosa certamente interessante, ma non alternativa all’esistente, anche se nell’emergenza economica attuale è importante e apprezzabile strappare l’autorizzazione a nuove immissioni in ruolo.

Per questo problema “enorme” non bastano semplici soluzioni amministrative. Occorre un provvedimento legislativo, originale, diverso, condiviso, strutturale che tra l’altro definisca una strategia di reclutamento concorsuale del personale docente, nel breve e anche nel medio termine, di assoluta necessità. L’ultimo concorso è del 2000 e del penultimo si è persa traccia nella memoria collettiva.

L’urgenza di un percorso diretto a dare slancio a politiche concrete per il personale è determinata dalla semplice constatazione che il blocco da oltre 10 anni del reclutamento per concorso ha portato a una situazione critica per le graduatorie per l’istruzione secondaria superiore che registra circa 120 graduatorie esaurite specialmente per le discipline tecnico-scientifiche.

Serve insomma un provvedimento che estirpi la patologia alla radice e che non abbia la natura della sanatoria, come la storia di decenni di scuola italiana ha dimostrato.

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Redazione
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