ROMA. Non è vero che il ministro Tremonti utilizzava la casa dietro al Parlamento senza pagare l’affitto e non è vero che lui è l’uomo-chiave delle nomine nelle società partecipate dal ministero dell’Economia.
Così come è escluso “nella maniera più assoluta” che abbia favorito alcuni imprenditori nell’acquisizione di appalti pubblici e che abbia preso “soldi e regali” dagli imprenditori che ora l’accusano. E’ vero, invece, che esiste un “fumus persecuitonis” nei suoi confronti che “non ha nulla a che vedere con un complotto” ordito dalla magistratura contro di lui o contro il Pdl e perà “si sostanzia in un’iniziativa giudiziaria che assume la veste della persecuzione” e che “sembra esclusivamente dovuto agli indagati appartenenti alla cosiddetta ‘casta’ politica”.
Marco Milanese si difende e nella memoria di 80 pagine consegnata alla Giunta per le autorizzazioni a procedere della Camera che si riunisce mercoledì 27 luglio per discutere la richiesta d’arresto avanzata dai magistrati napoletani nei suoi confronti, contesta punto su punto le accuse mossegli dai pm. A partire da una duplice constatazione: da un lato la “mancanza e la gravità di indizi” che sono il presupposto per ogni richiesta d’arresto; dall’altro “la deficienza, anche in termini di concretezza, delle esigenze cautelari” che sono a fondamento della richiesta di arresto del gip del tribunale di Napoli.
Secondo l’accusa, Milanese avrebbe pagato al Pio Sodalizio dei Piceni l’affitto, pari ad 8mila euro al mese, di un appartamento in via Campo Marzio, utilizzato invece dal ministro Tremonti. Nell’appartamento, inoltre, sarebbero stati eseguiti lavori per 200mila euro dalla ditta Proietti che quest’ultima non avrebbe fatto pagare a Milanese ottenendo, in cambio, appalti da parte della Sogei.
Tutt’altra la versione di Milanese: Tremonti, dice, gli ha versato “quale partecipazione all’affitto dell’immobile, a partire dalla seconda metà del 2008, la somma mensile di circa 4mila euro, corrispostemi settimanalmente e in contanti”. Secondo il parlamentare del Pdl, il ministro avrebbe pagato complessivamente 75mila euro. “Io mantenevo l’immobile – aggiunge Milanese – sperando nella vendita e nell’acquisto al prezzo scontato per gli inquilini” e “ho corrisposto la somma di 30mila euro versata regolarmente con bonifici bancari.
Quanto ai lavori, il parlamentare afferma che “da sempre” Proietti è l’impresa di fiducia del Pio Sodalizio e che i rapporti con la Sogei “risalgono al 2001”. Dunque, “escludo nella maniera più assoluta di aver favorito lui o imprese a lui collegate nelle acquisizioni di appalti pubblici”. In ogni caso, precisa, l’importo dei lavori realmente eseguiti è di 50mila euro e non di 200mila.
Non sono l’uomo-chiave delle nomine – L’ex consigliere sostiene che c’è una “strategia ben studiata” messa in atto in modo tale che “si traesse il convincimento che anche semplici vicende personali ed economiche, comuni a molte persone, siano state per me invece il frutto di corruzione o finalizzate esse stesse all’illecito”. E’ in questo quadro che “si è finito per dare per scontato” che dentro le quattro cassette di sicurezza a lui intestate ci siano 11 milioni di euro e che “io potessi essere il deus ex machina di tutte le nomine, anche quelle di primo livello”. “Ed invece voi sapete – scrive nella memoria indirizzata ai colleghi parlamentari – che così non è”.
Così come non sono frutto di una tangente, sostiene sempre il parlamentare, le mille sterline d’oro che erano nelle cassette di sicurezza del deputato. “Appartengono invece alla famiglia della mia ex moglie e le provengono da una eredita paterna” dice. E poi spiega: “A seguito della separazione ci siamo accordati che le sterline le tenessi io per poi utilizzarle nell’acquisto di un appartamento a Roma per nostra figlia, quando avrei venduto la nostra casa di Cannes”. Ed è quello che è accaduto quando, nel 2010, ha acquistato una casa a Brera, a Milano, per la figlia Giulia, pagandola un milione di euro.
Nella memoria, però, l’ex consigliere di Tremonti lancia anche un paio di accuse. Contro alcune “procure colabrodo” dalle quali le “notiziae criminis, le iniziative investigative e gli atti processuali riservati” finiscono direttamente sui giornali; contro una campagna stampa “feroce” che, a suo dire, sarebbe stata messa in atto contro di lui da parte di una “certa stampa vicina al dottor Marra e al generale Adinolfi” (il presidente dell’agenzia Adnkronos e il capo di stato maggiore della Gdf indagati entrambi nell’inchiesta P4, ndr) che ha agito “con maggiore acredine” per “gettare su di me quel discredito necessario ad indebolire quanto avevo dichiarato al dottor Woodcock circa le vicende della P4 e dei gravi contrasti all’interno della Gdf che hanno sfiorato” lo stesso Tremonti.
E contro chi vuole “a tutti i costi trasformare un incontro conviviale in un’occasione criminale”. Quest’ultimo riferimento è alla cena che si è tenuta a casa dell’avvocato romano Luigi Fischetti e alla quale parteciparono il ministro Tremonti, il procuratore aggiunto di Roma Giancarlo Capaldo e lo stesso Milanese. Secondo i pm il deputato sapeva già di essere indagato e il procuratore aveva già sentito alcuni testimoni d’accusa proprio contro di lui.