“Nessuno tocchi Palazzo Fortini”

di Redazione

 SANTA MARIA CV. “La situazione è davvero critica nel centro storico, al limite dell’indecenza, qui la maggior parte dei palazzi antichi versa nell’abbandono e nell’incuria”.

Lo aveva detto il professor Alberto Perconte Licatese, aggiungendo: “Tuttavia un pericolo maggiore corrono gli edifici storici nelle arterie secondarie, poco visibili, e per tale motivo sono sottratti al controllo della società civile”. Nulla di più attuale, purtroppo. Il caso di specie su cui testare il presunto amor proprio dei sammaritani, se ancora esiste, si trova in un’arteria di quelle definite “secondarie” , all’incrocio tra via Melorio e via Albano. Quello che agli occhi dei passanti sembra un imponente e maestoso rudere in disfacimento, è il noto Palazzo Fortini. Questo puo’ essere considerato il piu’ eclatante caso di incuria e di scempio affaristico, a conferma di tutto cio’ che il professore Perconte sta denunciando ab illo tempore.

La costruzione deI palazzo Fortini puo’ essere datata nella seconda parte del XIX secolo, e rappresenta una sorta di punto di svolta nell’evoluzione socio-economica della città. A differenza della quasi totalità delle grandi costruzioni di famiglie nobiliari, quest’ immobile è una della prime costruzioni che certificano l’escalation della classe emergente di professionisti. Il primo proprietario, di cui sono state trovate notizie, è l’avvocato Pietro Fortini, le cui prime memorie giudiziarie risalgono al 1884. Tracce certe della genealogia Fortini sono riscontrabili fino alle soglie della prima guerra mondiale, con alcune documentazioni circa Pasquale, anch’egli professionista cittadino. Oltre ad essere un segno tangibile dell’evoluzione socio-economica sammaritana, il palazzo Fortini è soprattutto una ricchezza dal punto di vista culturale.

L’edificio ha due ingressi in via Melorio, uno principale, patronale, ed un altro dedicato alla servitù. Per dare l’idea della grandiosità del palazzo, si contano 5 finestre, un balcone patronale che gira ad angolo,8 finestroni con balconata e 2 accessi a piano terra. Sulla facciata di via Albana invece, è possibile riscontrare 4 accessi, 4 balconate, 3 finestroni e 3 oblo’, aperture circolari per dare luce ed arieggiare i locali della soffitta, caratteristici sia delle costruzioni antiche ma anche di quelle contadine più recenti. Moltissimi, inoltre, sono i bassorilievi ed i piccoli capitelli che andrebbero restaurati sulle facciate, della cui esistenza rimangono sempre più flebili tracce.

L’interno viene reso inaccessibile da parte di inquilini che hanno ricevuto l’ordine tassativo di non permettere la visione del cortile a nessuno, in special modo a studenti universitari e giornalisti. Nonostante tutto, sono visibili sui muri che costeggiano le rampe delle scale dei notevoli affreschi, anche se scrostati; mentre il cortile, laddove non è adibito a parcheggio, sembra essere un deposito. I pochi custodi della memoria artistica sammaritana ricordano la presenze nei suddetti spazi di opere di un certo rilievo, quali mezzibusti e vestigia storiche. Il palazzo, già ad una prima analisi, si trova in condizioni pessime e sarebbe necessario un massiccio investimento per la sua ristrutturazione.

Ciò tuttavia, non giustifica in alcun modo il suo possibile abbattimento così come i bene informati da un po’ stanno profetizzando. La ricerca di fondi da parte del comune deve essere in tal senso un prius, per dare una forte dimostrazione di discontinuità con il passato. Il preservamento dell’identità collettiva, visibile in città attraverso la sua edilizia storica, troppe volte viene sacrificato sul’altare degli interessi personali degli amministratori pubblici. Troppe volte palazzi come il Fortini sono stati indicati come irrecuperabili, in violazione ai piu’ elementari parametri di staticità, solo a giustificarne l’abbattimento e la vendita a lobby affaristiche. Troppe volte in Terra di Lavoro l’industria del cemento e delle attività camorristiche ha trovato facile appeal grazie ad amministratori collusi.

A tal proposito, l’amministrazione Di Muro, che ha il merito di aver fatto annoverare l’Anfiteatro Campano quale meraviglia nazionale, non puo’ allo stesso tempo macchiarsi del depauperamento del patrimonio cittadino. L’unico modo di impedirlo è quello di mobilitare le coscienze ed attingere alla dignità delle persone. Ora è giunto il momento in cui siano i sammaritani a decidere del proprio destino. Nessuna amministrazione potrà mai sentirsi libera di smantellare una città se sarà la sua comunità a fungerne da nume tutelare.

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