Il centro commerciale e i brogli elettorali: i particolari dell’inchiesta

di Redazione

Cipriano CristianoCASAL DI PRINCIPE. L’inchiesta della Dda di Napoli, che martedì mattina ha portato all’arresto di 50 persone, tra politici di rilievo nazionale, come Nicola Cosentino, imprenditori, funzionari bancari, ex amministratori e tecnici del comune di Casal di Principe, …

… può essere letta attraverso tre diverse lenti d’ingrandimento: il controllo del voto alle amministrative degli anni 2007 e 2010: la gestione del ciclo del calcestruzzo (attraverso il controllo di quattro imponenti impianti e finalizzata alle estorsioni su lavori pubblici e privati); il dispiegarsi del complesso intreccio politico ed economico che ha caratterizzato la lunga vicenda amministrativa e finanziaria della costruzione di un grande centro commerciale a Casal di Principe. Tre filoni investigativi che si sono fatalmente intrecciati, quasi imponendo agli investigatori di collegare le posizioni di pericolosi esponenti del clan dei Casalesi, avvezzi ad omicidi e al disinvolto uso delle armi, con quella di politici, imprenditori e addirittura funzionari di un’agenzia dell’Unicredit di Roma.

IL CENTRO COMMERCIALE. La prima vicenda, di cui si è occupata la Dia di Napoli, è quella della costruzione del centro commerciale “Il Principe”, in località Madonna di Briano, per un investimento pari a circa 43 milioni di euro. L’indagine accertava che il clan dei Casalesi aveva diretti interessi nella costruzione del centro, attraverso il titolare di fatto dell’intero progetto, ingegner Nicola Di Caterino, cugino del boss Giuseppe Russo, alias “’O Padrino”, ed i cognati Cipriano Cristiano, ex sindaco, e Luigi Corvino, con l’appoggio di esponenti politici locali e nazionali, tra cui Nicola Cosentino e il presidente della provincia di Napoli, Luigi Cesaro, quest’ultimo solo indagato, ma non per camorra.

I BROGLI ELETTORALI DEL 2007. Cristiano e Luigi Corvino, all’esisto della consultazione elettorale del maggio 2007, la cui legittimità, riferiscono gli investigatori, fu gravemente inficiata da una serie di brogli su larga scala, conseguivano le nomine a sindaco e a consigliere comunale, riportando ampia affermazione alla quale contribuiva, spiegano ancora gli investigatori, “la leva rappresentata dalla promessa di posti di lavoro, apparsa tanto più credibile alla pubblica opinione dal fittizio avvio del cantiere, reso possibile dall’impiego di fondi concessi agli imprenditori frusinati Francesco e Mauro La Rocca da esponenti della criminalità locale a tassi usurari. Sempre per quanto riguarda i brogli del 2007, gli inquirenti riferiscono che, su un ridotto campione di iscritti nelle liste elettorali preso in esame, sono stati individuati almeno sessanta casi nei quali ignoti, servendosi di falsa documentazione procurata grazie alla complicità di dipendenti comunali, sostituendosi ad iscritti notoriamente appartenenti a confessioni religiose che non esercitano per scelta diritto di voto, a disabili o anziani, con la complicità ulteriore di componenti di seggi elettorali, esprimevano alle urne un voto “pilotato”. Gli stessi componenti di seggio arrivavano addirittura a sostituirsi agli elettori che non si erano recati alle urne, votando al loro posto.

IL RUOLO DI COSENTINO. La parte relativa alle assunzioni nel centro commerciale avrebbe dovuto essere gestita dal boss Massimo Russo, alias “Paperino”, fratello di Giuseppe “il padrino”. Tra l’altro, è emerso che Cipriano e Luigi Corvino promettevano, in cambio di voti, posti di lavoro nelle cooperative “Punto H” e “Agape”, entrambe facenti capo a Luigi Lagravanese, parente dei fratelli Russo. Nello sviluppo di queste due vicende viene fuori Nicola Cosentino, che condivide un legame di parentela con i fratelli Russo. Sul centro commerciale, Cosentino avrebbe acconsentito a che l’architetto Cacciapuoti, nel suo ruolo di responsabile dell’ufficio tecnico di Casal di Principe, rilasciasse irregolare concessione edilizia per la costruzione dell’insediamento, per poi ottenere la riconferma dell’incarico già conferitogli a tempo determinato. Inoltre, Cosentino, accompagnato da Cesaro, avrebbe incontrato a Roma i vertici della banca Unicredit per sollecitare la concessione di un credito, che si scoprirà garantito da una falsa fidejussione, a favore di Di Caterino. Pochi giorni dopo il finanziamento veniva sbloccato e si iniziava l’iter per l’erogazione. In tale contesto gli inquirenti riferiscono di aver acquisito solidi elementi probatori sulla falsità delle garanzie offerte per l’erogazione dei finanziamenti bancari da Di Caterino e da Mauro La Rocca, titolare della “Ingecos”, ditta appaltatrice dei lavori, e sulla complicità di alti funzionari della Unicredit.

I BROGLI ELETTORALI DEL 2010.L’intreccio politico-camorristico, continuano gli inquirenti, “si ripeteva alle amministrative del 2010”, dopo che l’amministrazione Cristiano, prima sciolta per inadempienze sulla raccolta differenziata ma reintegrata dal Tar, decadeva definitivamente a seguito delle dimissioni di numerosi consiglieri. Nella stessa tornata si procedeva anche al rinnovo del Consiglio provinciale. Gli elementi di prova sono stati raccolti attraverso video-intercettazioni nei seggi elettorali, nell’ufficio elettorale del Comune e intercettazioni nei confronti delle famiglie dei protagonisti “di sempre” della politica casalese, come nel caso di Antonio Corvino, figlio di Gaetano Corvino, nella cui abitazione, il 13 dicembre 1990, nel cosiddetto “blitz di Santa Lucia”, furono arrestati i boss Francesco Schiavone detto “Sandokan” e Francesco Bidognetti detto “Cicciotto ‘e mezzanotte”, durante un summit di camorra. . Il voto sarebbe stato completamente alterato dall’intervento del clan. Addirittura, chi osava criticare l’operato degli amministratori comunali o dei candidati rischiava addirittura di essere ucciso, come nella circostanza in cui Demetrio Corvino, fratello di Antonio, armato di pistola e con tono minaccioso, avrebbe obbligato a far salire nella propria autovettura un uomo, intimandogli di smettere di parlare con una giornalista. Secondo gli inquirenti, Antonio Corvino, abusava della carica di assessore (si sarebbe fatto installare un impianto di videosorveglianza in casa, del valore di 8mila euro, promettendo alla fitta di addebitare la spesa al Comune) ed era “persona di fiducia” di Nicola Schiavone, figlio di “Sandokan”. In un’intercettazione si evince la rivalità tra i Corvino e i fratelli Ferraro: “Vorrei vedere questi (i Ferraro, ndr) senza comprare, senza niente, chi vincerebbe a Casale e che vorrei vedere in una elezione pulita veramente chi vincerebbe”, dice Demetrio Corvino al padre, quest’ultimo che risponde: “Se avessi avuto 200mila euro riuscirei a mantenere tutto Casale, perché con la moneta si può corrompere tutto, si può corrompere ogni equilibrio in ogni modo”.

LA SCHEDA “BALLERINA”. La pietra militare di questa fase d’indagine è stata quella di aver scoperto il meccanismo della “scheda ballerina”. Intercettate conversazioni, poi riscontrate anche dal Ris dei carabinieri di Roma, nelle quali si comprendeva chiaramente che i sostenitori di Antonio Corvino dovevano utilizzare uno schema collaudato, ossia portare all’esterno dei seggi elettorali (con la complicità di qualche presidente o scrutatore) una scheda elettorale in bianco che, dopo essere stata contrassegnata col voto di preferenza, veniva consegnata ad un elettore, il quale la imbucava nell’urna e, a sua volta, portava fuori dal seggio la scheda da votare che gli era stata legittimamente consegnata dagli addetti alle sezioni per l’esercizio del voto. Quindi, con l’utilizzo di una sola scheda, che ciascun componente del seggio avrebbe potuto portare all’esterno con una certa facilità e senza alterare il numero totale delle stesse, disponendo di quell’esemplare in più su cui erano state formalizzate le procedure di convalida (timbro e firma dei componenti nella fase preparatori) contestualmente ad altre, si veniva a concretizzare un sistema finalizzato a far eleggere il candidato Luigi Fichele. Il dato sconfortante è che sia il metodo corruttivo che il legame mafioso, nonché i brogli, secondo gli inquirenti sono risultati essere patrimonio comune di entrambe le “cordate”: i Corvino e i Ferraro.

CALCESTRUZZO. L’altro filone investigativo riguarda la presenza di imprenditori legati al clan dei Casalesi nel settore del calcestruzzo: si tratta di Gaetano Iorio e del figlio Salvatore, titolari della “Beton Campania srl” di San Tammaro (Caserta), Nicola Palladino, titolare della “Cls srl” di Pastorano (Caserta), e di Stefano Di Rauso, assegnato ai domiciliari, titolare della “Beton Me.Ca. srl” di Vitulazio (Caserta), i quali avrebbero ricoperto stabilmente un ruolo di riferimento dell’organizzazione camorristica nel settore del calcestruzzo, mettendo a disposizione i propri impianti di produzione e strutture societarie con la partecipazione agli utili dell’attività commerciale, al fine di ottenere in cambio dal clan l’imposizione sui cantieri “controllati”.

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