“Il bambino della spiaggia”, il professor Sbaraglia al ‘Pascoli’

di Redazione

Emiliano SbaragliaGRICIGNANO. “La cosa più importante di tutta la vita è la scelta di un lavoro, ed è affidata al caso”. Così scriveva Blaise Pascal, Pensieri, 1670.

Così è accaduto al professor Emiliano Sbaraglia, ospite all’istituto comprensivo “Pascoli” mercoledì 7 dicembre. Stanco di essere un docente precario, quando anche la precarietà, nei nostri tempi difficili su cui scorrono oceani di parole, gli viene negata, trovato per caso nella cassetta della posta un invito a ricoprire il ruolo di coordinatore didattico in un centro di accoglienza in Senegal, il professor Sbaraglia accetta senza esitare, perché nella sua vita sa che più di qualsiasi altra cosa, lui vuole insegnare e sa di farlo bene.

Tale esperienza è raccontata nel libro Il bambino della spiaggia, che i ragazzi delle classi terze della scuola secondaria di primo grado hanno letto in maniera critica ma anche emozionandosi. Il libro non è il racconto soddisfatto di un’esperienza autobiografica, esso è il racconto dell’anima senegalese, quando descrive gesti, costumi, consuetudini gioiose e dannose: i senegalesi non stringono la mano per salutare, questo significa imporre la propria forza, accarezzano dolcemente il palmo della mano; i senegalesi sono dediti alla pesca e i padri vorrebbero che ciò si tramandasse di padre in figlio senza prospettare loro la possibilità di un futuro diverso, ma alcuni di loro si recano al centro di accoglienza dove possono studiare e vivere la loro infanzia, con orgoglio delle madri dedite a badare ad una schiera di figli, molti dei quali non riconosciuti dal padre; durante una tradizionale festa, il tabaski, i senegalesi lasciano aperte le porte delle loro case in segno di accoglienza. Tra queste contraddizioni si aggira il professor Sbaraglia ed altri collaboratori, affrontando difficoltà concrete e difficoltà legate a mentalità che rappresentano un danno culturale. Ciascuna classe terza ha esplorato questo mondo dedicandosi ad un particolare aspetto che, unito allo studio dei compagni delle altre terze, ha dato prova di coralità della didattica. C’è chi si è occupato di una chiara descrizione del Senegal, approfondita da un’altra classe che ha studiato usi, costumi, curiosità del popolo senegalese.

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C’è chi, sull’esempio tratto dal libro di Sbaraglia, ha scritto una lettera al Ministro della pubblica istruzione di cui si riporta un passo: “A scuola sappiamo di dover venire: le regole ed i compiti non ci piacciono ma proviamo a rispettarli. Altre cose non ci piacciono: le aule strette, le palestre con pochi attrezzi, i laboratori senza strumenti (…) la chiusura della scuola d’estate, dove potrebbero essere svolte attività ludiche, perché in molti paesi, caro Ministro, non c’è niente di bello da fare né un posto dove andare oltre la scuola. Ma per fortuna la nostra scuola si è attrezzata. (…)” C’è chi ha selezionato frasi cariche di positività e negatività aiutando un’altra classe a preparare un processo al libro, di cui si riporta qualche accusa e difesa: “mentre in Africa ci sono problemi seri quali la malnutrizione, la mancanza d’acqua, l’assenza di igiene, il professor Sbaraglia nel centro di accoglienza vuole organizzare una riunione per discutere di pedagogia”. “Il problema di una tradizione scolastica abituata ad utilizzare metodi violenti sia verbali che fisici, pur rappresenta un serio problema che prima o poi dovrà essere affrontato”. “Toubab, parola che significa – sporco bianco -”. “Basta scorrere un manuale di storia senegalese per capire il perché, anche il marito di Fatima dice che negli ultimi anni ha notato che gli italiani sono diventati più razzisti. Tuttavia il suocero di Giovanni ricorda che gli italiani sono sempre stati gentili con i senegalesi”.

Non sono ovviamente mancate domande poste all’autore delle quali si è fatta carico una classe. Nessuno escluso, tutti protagonisti del cammino di apprendimento e di crescita: non si trasmette cultura al ‘Pascoli’, si fa cultura. Eccolo il coraggio di una scuola di provincia, descritta con forte partecipazione emotiva dalla preside Enza Di Ronza nella lettera da lei scritta e letta al professor Sbaraglia nel giorno dell’incontro (…): “Ti vorrei consolare: potrei dirti che la scampi bella se riesci a fuggire dalla scuola italiana, ma sarebbe troppo semplicistico banalizzare così, le generalizzazioni sono trappole micidiali. È vero, la scuola italiana è a pezzi: non ci sono soldi, non ci sono risorse umane sufficienti: metti noi, la nostra docente responsabile della scuola primaria apre la scuola al posto del bidello, i miei alunni siedono sulla stessa sedia che è stata del loro papà e, forse, usano il banco del loro nonno. Centelliniamo il gasolio. Dosiamo la candeggina. Misuriamo la carta igienica. Quella per le fotocopie, poi! Ci danniamo per il servizio mensa. Corriamo dietro all’idraulico per fargli rattoppare fori nei tubi che hanno cinquant’anni. Il cortile è sconnesso. Dal secondo piano non parte alcuna scala di emergenza. Speriamo che non ci sia nemmeno l’emergenza. Il Comune non ridipinge le pareti da cinque anni: per Natale, formeremo gruppi di volontari per farlo al posto di chi dovrebbe. E dobbiamo ancora trovare chi ci finanzia i barattoli di tempera (…). Anche da noi, dunque, la scuola è una scommessa, e vedere cosa hanno realizzato gli alunni, con quanto impegno e responsabilità, come in questa occasione, è il premio dei nostri azzardi. L’incontro si è concluso con foto di gruppo, ma soprattutto con la promessa del professor Sbaraglia di tornare nel nostro istituto, tra ragazzi esperti lettori”.

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