KANO. Ancora attacchi contro i cristiani in Nigeria. Gli integralisti islamici della setta Boko Haram ieri hanno fatto irruzione sparando all’impazzata in una casa di Mubi (nel nord-est) contro le persone che stavano partecipando alla veglia funebre di uno dei cinque cristiani assassinati ieri l’altro nel corso di un’altra cerimonia religiosa.
A terra sono rimaste 17 persone prive di vita e un numero imprecisato di feriti. Altre otto persone di fede cristiana sono morte in un attentato contro una chiesa di Yola, capitale dello stato di Adawama (nord est). Lo hanno riferito fonti ospedaliere. Sale a 36 il numero di fedeli uccisi, in soli tre giorni, in attacchi armati compiuti dopo la scadenza dell’ultimatum con il quale la setta islamica ingiungeva a tutti i cristiani residenti nel nord di abbandonare tutto e andare via.
In Nigeria, che con 160 milioni di abitanti è il Paese africano più popoloso, il nord è a maggioranza musulmana e il sud a maggioranza cristiana ma milioni di cristiani vivono nel nord e milioni di islamici nel sud. Negli ultimi mesi gli attacchi della setta integralista Boko Haram – che propugna l’istituzione della Sharia (la legge islamica) in tutto il nord nigeriano, che ha molte analogie con i talebani afghani e che alcuni ritengono legata ai terroristi di al Qaida – si sono moltiplicati.
Dopo l’attentato dello scorso agosto contro il quartier generale dell’Onu nella capitale Abuja, si sono poi sempre più indirizzati contro obiettivi religiosi, in particolar modo cristiani e animisti. Trasformando le conflittualità interetniche da sempre latenti e talvolta sfociate in massacri, in violentissimi scontri interreligiosi che stanno sempre più mettendo in crisi il colosso petrolifero africano. Gli stessi vertici cristiani hanno minacciato di “difendersi”. “Non è vendetta – hanno precisato – ma è necessario che ci proteggiamo, salvando le nostre famiglie e le nostre proprietà”.
Lo stato d’emergenza decretato lo scorso 31 dicembre dal presidente Goodluck Jonathan, originario del sud e cristiano, nelle zone a maggioranza islamica più turbolente non sembra aver dato i risultati sperati. L’aumento del prezzo della benzina, praticamente raddoppiato dall’inizio dell’anno, sta inoltre complicando ulteriormente la situazione. Centinaia di persone scendono quotidianamente in piazza in molte città per protestare e la reazione della polizia è sempre più dura: l’uso di gas lacrimogeni e manganelli è ormai all’ordine del giorno. E molti osservatori temono che la situazione nel Paese vada fuori controllo.