FIRENZE. Adriano Sofri torna in libertà dopo 22 anni di reclusione. L’Ufficio di sorveglianza di Firenze ha firmato il provvedimento che sancisce la fine della pena per il leader di Lotta Continua, che ha ufficialmente terminato di scontare la condanna per l’omicidio del commissario Luigi Calabresi.
Sofri stava scontando la pena ai domiciliari per motivi di salute e aveva permessi per uscire. La liberazione sarebbe dovuta avvenire a febbraio, maè stata anticipata dopo la richiesta di Sofri di avvalersi dell’ultima riduzione di pena.Il primo giorno da uomo libero Sofri l’ha trascorso all’Isola del Giglio (Grosseto), dove e’ stato testimone degli eventi che hanno seguito il naufragio della nave della Costa Crociere, eventi che poi ha descritto in un articolo apparso su ‘Repubblica’. Ha trascorso del tempo anche con il presidente della Toscana, Enrico Rossi, ieri sull’isola per un sopralluogo ed alcuni incontri istituzionali.
69 anni, il giornalista, scrittore e attivista italiano venne condannato quale mandante dell’omicidio del commissario Calabresi. Nel giugno del 2005 otenne la semilibertà per collaborare con la scuola normale superiore di Pisa alla sistemazione degli archivi di Eugenio Garin e Sebastiano Timpanaro. Nel 2005, però, si ammalò di una rara malattia e venne ricoverato a Pisa. Ha trascorso gli ultimicinque anni ai domiciliari.
Negli anni settantaSofri fu il leader di Lotta Continua, una delle principali formazioni extraparlamentari marxiste. Lotta Continua si distinse per l’attività politica in aperto contrasto con le forze del Parlamento. Dopo il 1976 appoggiò il Partito Comunista Italiano, e successivamente presentò proprie liste con altre formazioni di sinistra radicale. Dalle pagine dell’omonimo giornale, su cui Adriano Sofri scriveva, la formazione attaccò fortemente, tra gli altri, il commissario Luigi Calabresi, da loro accusato di essere il responsabile della morte di Pinelli. Ancora prima della vicenda giudiziaria, Sofri abbandonò la politica attiva.
La magistratura, dopo un lungo iter giudiziario, ha sentenziato nel gennaio del 1997 la condanna in via definitiva di Sofri, Bompressi e Pietrostefani a 22 anni di reclusione. I primi due gradi di giudizio si conclusero con la condanna degli imputati. Già avverso alla sentenza di primo grado, Adriano Sofri non interpose appello: la sentenza non ebbe esecuzione per l’effetto espansivo del ricorso presentato dai suoi coimputati (anche Leonardo Marino fece appello). Vi è da dire che la decisione di ritenere l’appello altrui impeditivo del passaggio in giudicato della condanna anche nei confronti del non appellante Sofri (per effetto espansivo, per l’appunto) non era affatto scontata, anzi segnò un precedente inedito in giurisprudenza. In ogni caso, la Corte di Cassazione, pronunciandosi a sezioni unite, annullò questi primi verdetti affermando l’impossibilità di irrogare una condanna sulla sola base di una chiamata in correo priva di riscontri oggettivi. Nel seguente giudizio di rinvio in appello Sofri (e tutti i coimputati, Marino compreso) vennero assolti per non aver commesso il fatto. Singolarmente, la motivazione della sentenza venne redatta in termini volutamente incoerenti con il dispositivo assolutorio (cosiddetta sentenza suicida), aprendo le porte ad un nuovo annullamento in Cassazione anche di quest’ultima sentenza di assoluzione piena. Aveva così luogo un nuovo giudizio di rinvio che questa volta si concludeva con la condanna di Sofri e degli altri. Questa ennesima sentenza veniva finalmente confermata in Cassazione, passando in giudicato. Tutti e tre gli imputati condannati sulla base delle dichiarazioni di Leonardo Marino (prosciolto per intervenuta prescrizione) si costituivano presso il carcere di Pisa.
Qualche anno dopo aveva luogo un’ulteriore fase di giudizio a seguito dell’accoglimento della richiesta di revisione presentata da Sofri. Questo nuovo processo si svolgeva presso la Corte d’Appello di Venezia e si concludeva con il rigetto del ricorso e quindi con la conferma delle condanne a suo tempo irrogate. Sofri, Bompressi e Pietrostefani si sono costantemente dichiarati innocenti, condotta processuale che (come risulta dalle motivazioni delle molteplici sentenze) è stata ritenuta ostativa della concessione delle attenuanti generiche prevalenti. Se queste fossero state concesse con ogni probabilità anche per loro sarebbe scattata la prescrizione, come evidentemente essi sapevano.
Sofri è stato condannato quale mandante dell’omicidio Calabresi. Non gli è stato contestato il reato di banda armata né circostanze aggravanti eversive, cioè nessuna delle fattispecie previste dallordinamento italiano quali mezzi di contrasto del terrorismo politico-ideologico. Sofri e Pietrostefani, quest’ultimo latitante in Francia, sono stati condannati come mandanti dell’omicidio, Bompressi come esecutore materiale. Il pentito Leonardo Marino, correo confesso dell’omicidio, fu condannato a 11 anni di carcere, pena successivamente prescritta.
Non ha mai presentato personalmente richiesta di grazia, ritenendo un tale atto incongruo a sanare la posizione personale di un innocente. Tuttavia, intorno al caso Calabresi è sorto in Italia un movimento innocentista di opinione pubblica volto a promuovere l’atto di clemenza. Ne fanno parte molti esponenti della sinistra, ma anche personaggi di altre correnti politiche. Tra gli esponenti di spicco vi sono Giuliano Ferrara e Gad Lerner.
Nel 1997 il presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, pur sollecitato da numerosi parlamentari, circa 200, e da molti cittadini comuni (160 mila firmatari),[senzafonte] rifiutò di firmare la grazia, con una lettera ai Presidenti delle Camere, Luciano Violante e Nicola Mancino. Nel periodo 2001-2006, i ripetuti inviti a dare corso alla richiesta di grazia, avanzati in maniera trasversale da esponenti della politica e della cultura (ma mai da Sofri in persona), sono sempre stati respinti dal Ministro della Giustizia Roberto Castelli, malgrado il Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi avesse nello stesso periodo più volte manifestato la volontà di concederla, tanto da giungere a un conflitto con il guardasigilli risolto poi dalla Corte Costituzionale che, con sentenza n.200 del 18/05/2006, ha stabilito che non spetta al Ministro della giustizia di impedire la prosecuzione del procedimento di grazia; in poche parole Ciampi avrebbe potuto concedere la grazia anche senza la firma del guardasigilli.
Alla fine la grazia non fu concessa perché la sentenza fu emessa tre giorni dopo che Ciampi si era dimesso dalla carica di Presidente della Repubblica. La grazia fu invece concessa a Ovidio Bompressi, autore materiale (sentenza in Cassazione) dell’omicidio Calabresi, che ne fece richiesta al neoeletto Napolitano (fu uno dei suoi primi atti).