Arresti ultra’, i pm: “Rapporti con calciatori per influenzare contratti”

di Redazione

 NAPOLI. “Alcuni calciatori del Napoli mantengono i contatti con i gruppi di ultrà anche perché ritengono che questi ultimi possano influire sulle scelte della società al momento del rinnovo del contratto”.

Lo ha detto il procuratore aggiunto di Napoli, Giovanni Melillo, nel corso della conferenza stampa organizzata per illustrare l’operazione che ha portato giovedì alla notifica di 11 misure cautelari nei confronti di tifosi violenti.

Melillo ha citato, in particolare, Ezequiel Lavezzi e alcune dichiarazioni del calciatore rese nell’ambito di un’altra inchiesta e confluite poi nell’ordinanza cautelare eseguita oggi. Il verbale di Lavezzi è quello nel quale il Pocho parlava della sua conoscenza con Antonio Lo Russo, il figlio dell’ex capo clan di Miano, Salvatore, oggi collaboratore di giustizia. Agli atti dell’inchiesta ci sono anche alcune dichiarazioni rese dallo stesso Lavezzi nel corso di un’altra inchiesta, che verte sui rapporti tra il clan camorristico dei Lo Russo e noti imprenditori della ristorazione. Lavezzi riferisce in particolare dei rapporti con Antonio Lo Russo, figlio del capoclan Salvatore, oggi pentito. Il giovane, che è latitante, era stato fotografato a bordo campo del San Paolo mentre assisteva ad alcune partite del Napoli.

Quando si temette che il Pocho potesse lasciare Napoli, Antonio Lo Russo sarebbe intervenuto perché questo non avvenisse. Il figlio del boss, racconta dunque Lavezzi ai pm, “l’ho conosciuto a Castelvolturno, presentandosi come esponente degli ultrà della curva B. Questa persona in qualche occasione è anche venuta a casa mia insieme ad altri tifosi. Mi viene chiesto di precisare in che modo si sia evoluto questo rapporto di conoscenza che ha poi portato questa persona a recarsi presso la mia abitazione e rispondo che io la conosco come un capo della tifoseria e per me era abbastanza normale intrattenere questi rapporti anche perchè pure in Argentina è un’usanza diffusa. Ad esempio – continua Lavezzi – dico che quando si profilava la possibilità che io lasciassi il Napoli fu proprio questa persona ad attivarsi perché in curva B fosse esposto uno striscione che mi invitava a non andare via. Questa persona l’ho anche vista allo stadio in campo. Con Antonio era nata una certa confidenza al punto che veniva a casa senza alcun preavviso e magari è possibile anche che neanche mi trovasse. Non vedo questa persona da diverso tempo e poi ho saputo che ora è latitante in quanto è un camorrista, ma posso assicurare che fino a quel momento non sapevo chi fosse”.

GLI ARRESTI.

Associazione a delinquere finalizzata a reati commessi a ridosso o durante incontri anche internazionali. Con questa accusa la Digos della questura di Napoli ha arrestato 11 componenti di un gruppo di ultrà della squadra di calcio azzurra. Gli ultrà si riconoscevamo nella sigla “Bronx”. In manette anche un uomo con precedenti ritenuto vicino al clan Mazzarella, che nelle riunioni del gruppo a casa sua mentre era agli arresti domiciliari coordinava le ‘azioni’ da compiere dentro e fuori lo stadio.

L’indagine degli uomini guidati dal dirigente Filippo Bonfiglio, coordinata dal pool di magistrati specializzati in reati ‘da stadio’ che fa capo all’aggiunto Giovanni Melillo, è durata due anni e si è avvalsa anche di intercettazioni telefoniche e ambientali. Gli indagati hanno preso parte ai gravi atti di violenza commessi a Napoli il 9 maggio 2010, in occasione della gara Napoli-Atalanta, a seguito dei quali rimasero feriti 13 agenti della Polizia di Stato; a Udine il 7 febbraio 2010, in occasione dell’incontro Udinese-Napoli, a Bucarest (Romania) il 30 settembre 2010, in occasione della gara di Europa League Steaua-Napoli, ed ancora, a Napoli, il 21 ottobre 2010, in occasione di Napoli-Liverpool, anch’essa valida per la stessa competizione internazionale. In quest’ultima occasione furono aggrediti e feriti, in diverse circostanze, sette turisti inglesi e cinque agenti.

Già il 16 novembre 2010 la Digos aveva eseguito ispezioni e perquisizioni nei confronti di 57 appartenenti ai gruppi di ultrà, verificando, per ognuno di essi, la presenza sul corpo dei tatuaggi che ne contraddistinguevano l’appartenenza al gruppo. Nel corso di quella operazione, furono sequestrati in numerose abitazioni molte armi (mazze, aste di bandiera, coltelli anche a serramanico, tirapugni)e capi di abbigliamento utili per il travestimento, tutto materiale utilizzato dagli indagati nell’esecuzione di aggressioni pianificate alle tifoserie di squadre avversarie e alle forze dell’ordine.

Dalle indagini emerge, inoltre, che Fabiano Santacroce, ex calciatore del Napoli, ora nel Parma, era legato da vincoli di amicizia con Francesco Fuccia, ritenuto il capo degli ultrà arrestati con l’accusa di avere provocato tafferugli in occasione di diversi incontri del Napoli. Santacroce sembra si recasse a casa di Fuccia mentre quest’ultimo era detenuto agli arresti domiciliari in base a un’ordinanza del Tribunale di Genova per spaccio di droga. In alcune occasioni, il giocatore gli avrebbe anche portato delle magliette. Santacroce, sentito in Procura come persona informata dei fatti, ha riferito di avere conosciuto l’ultrà a Castel Volturno, presso il centro di allenamento dei partenopei, dove gli era stato presentato dal compagno di squadra, Paolo Cannavaro, che risulta completamente estraneo all’indagine.

“Cerchiamo di avere buoni rapporti con la tifoseria, soprattutto organizzata, anche perché questo ci consente di giocare con minore pressione”. Così Fabiano Santacroce ha spiegato ai pm la sua amicizia con Francesco Fucci. I dettagli dei suoi rapporti con i tifosi organizzati sono stati forniti dal difensore, persona informata dei fatti, il 28 dicembre 2010. Ecco come il calciatore ricostruisce la visita fata a casa di Fucci, detenuto agli arresti domiciliari per droga: “In una occasione sono anche andato a casa sua, avendomi chiesto delle magliette. Poiché mi trovavo a venire a Napoli, mi sono recato di pomeriggio dopo l’allenamento a casa sua. Ricordo di essermi incontrato con due amici di Francesco all’uscita della tangenziale corso Malta, dove mi sono recato da solo con la mia auto Mercedes ML, e fui accompagnato sino all’abitazione di Francesco. Non ricordo cosa gli ho portato, mi pare un mio completo. L’autovettura me la fecero lasciare in una piazza vicino all’abitazione del Francesco. Mi pare di ricordare che i due amici poi salirono in casa del Francesco”.

“Sono andato a casa sua – aggiunge Santacroce – solo per fargli il favore di portargli una maglietta che mi aveva chiesto. Non ho mai fatto una cosa simile con altri tifosi. L’ho fatto perché mi sembrava una persona a posto, e sapevo che lui era agli arresti domiciliari, per avermelo detto lui stesso al telefono. Voglio precisare che mi ha chiamato ripetutamente, voglio dire tartassato per la questione delle magliette. Non sapevo che recarmi a casa di un soggetto agli arresti domiciliari potesse avere conseguenze penali, ripeto, ci sono andato perché mi sembrava una brava persona, pur avendo immaginato che potesse avere dei problemi con la giustizia”.

Rispondendo alle domande dei pm, il calciatore aggiunge: “Voglio precisare che questo Francesco l’ho conosciuto anche in occasione di un torneo in Piazza Mercato, dove andai perché Paolo Cannavaro o Francesco Montervino me lo chiese, dicendomi che ad esso partecipavano anche dei tifosi ultras della squadra. Ho parlato con Paolo Cannavaro del fatto che la persona che lui mi aveva presentato, così come il biondo, avevano dei problemi con la giustizia, ma non approfondimmo l’argomento particolarmente”.

Quindi la spiegazione su questi contatti ambigui: “Cerchiamo di avere buoni rapporti con la tifoseria, soprattutto organizzata, anche perché questo ci consente di giocare con minore pressione”. Infine il difensore, oggi al Parma, spiega il ruolo della società nel rapporto con gli ultrà: “La società non ci da indicazioni circa i rapporti con i tifosi, anche se da quando è arrivato il nuovo direttore sportivo Riccardo Bigon ci è stato detto di avvertire la società quando partecipiamo ad eventi pubblicitari. Non mi è mai capitato che la società mi abbia mandato a casa di qualche tifoso o capo-tifoso, né so se sia mai successo a qualche mio compagno di squadra”.

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