Lavezzi, il lato nascosto di un campione

di Redazione

LavezziEzequiel Lavezzi è una delle note dolci di questo Napoli che affronta l’Europa che conta. Per arrivare fino a questo punto, però, ha dovuto soffrire delle situazioni abbastanza complesse ed oggi, a 5 anni dall’arrivo in Italia, le ha volute raccontare per la prima volta intervistato da “La Gazzetta dello sport”.

Un’infanzia difficile vissuta in un piccolo sobborgo di Rosario Villa Gobernator Gavez in una condizione economica non troppo felice: “Non avevo giocattoli. L’unico è stato il pallone. Giocavo per strada o sui campi in terra battuta. Oggi i bambini hanno meno spazi a disposizione e più pericoli da cui guardarsi. Si abituano a fare altre cose, e certe volte non sanno cosa vuol dire essere bambini”.

Il “Pocho” ha una fondazione per i bambini sudamericani di nome “Ninos del Sur”: “È mio fratello a portarla avanti, l’unica cosa che faccio io è dare dei soldi e tenermi informato sulle attività. Ospitiamo 40 bambini che hanno vissuto in mezzo alla miseria, alla violenza, alla droga. Da noi studiano, fanno sport, sono seguiti da psicologi. Cerchiamo di fargli capire che esistono modelli di vita diversi da quelli cui sono stati abituati”. L’ambiente familiare non è stato dei più semplici: “I miei si sono separati quando avevo 2 anni. Mamma lavorava tutto il giorno, usciva alle 7 della mattina e tornava alle 10 di sera. Faceva pulizie nelle case dei ricchi. Sono stato cresciuto dai miei fratelli, un maschio e una femmina più grandi. Non so cosa avrei fatto se non avessi fatto i calciatore. Non puoi sapere, prima,quali giri prenderà la tua vita. A 16anni, dopo che il mio primo arrivo in Italia era fallito per problemi burocratici, avevo deciso di mollare col calcio e mi ero messo ad aiutare mio fratello, all’epoca elettricista”.

Il campione interpreta la divisione dei genitori come un qualcosa di comprensibile con il tempo: “Uno capisce certe cose quando diventa adulto. Nel caso dei miei, ho capito che non andavano d’accordo e che quindi era giusto prendessero ciascuno la sua strada. Lo stesso è capitato tra me e la madre di mio figlio Tomas, che soffre per questo. Ma ogni giorno che passa diventa più grande, e ciò lo aiuta a capire”. Il padre non è mai andato a vedere una sua partita: “Non ha mai visto una mia partita. Ha un’altra famiglia, un altro figlio. Ha la sua vita. Ma andiamo d’accordo”.

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