Ricercatori: “Sì all’infanticidio come aborto post natale”

di Emma Zampella

 ROMA. Se il loro voleva essere un atto di provocazione ci sono riusciti: due ricercatori italiani, Alberto Giubilini e Francesca Minerva, hanno giudicato l’infanticidio, celato sotto il nome di “aborto post natale”, tollerabile e quindi consentibile per le stesse ragioni per cui si procura un aborto.

Ad aizzare il fuoco delle polemiche è stato l’articolo, pubblicato sul Journal of Medical Ethics, dai due studiosi dell’Università di Milano e della University of Melbourne, in cui si legge che “uccidere un neonato dovrebbe essere permesso in tutti i casi in cui lo è l’aborto, inclusi quei casi in cui il neonato non è disabile”, sottolineando che: “(1) i feti e i neonati non hanno lo stesso status morale delle persone vere, (2) il fatto che entrambi siano persone potenziali è moralmente irrilevante e (3) l’adozione non è sempre nel miglior interesse delle vere persone”.

Una tesi, questa, che fa inorridire, soprattutto se giustificata con queste ulteriori affermazioni: “Allevare bambini del genere potrebbe essere un peso insopportabile per la famiglia o la società in generale, quando lo Stato provvede economicamente ai loro bisogni. – scrivono i ricercatori – Per questo sosteniamo che, quando dopo la nascita capitano circostanze che avrebbero giustificato un aborto, dovrebbe essere permesso quello che chiamo aborto post-natale”.

Secondo i ricercatori, dunque,non si tratta di infanticidio perché lo status del neonato è simile a quello del feto di un bambino, né si può parlare di eutanasia perché il miglior interesse di chi muore non è necessariamente il criterio di scelta principale, contrariamente a quando succede nei casi, appunto, di eutanasia. Lo studio, tuttavia, ritiene come, nel caso in cui dopo la nascita sorgessero le stesse condizioni che avrebbero giustificato un aborto, nasca un “serio problema filosofico. In questi casi è necessario valutare i fatti per decidere se le stesse argomentazioni che si applicano all’uccisione di un feto umano possano essere applicate anche all’uccisione di un neonato umano”.

Alcuni dei casi presi in esame sono, ad esempio, quello di anormalità non rilevate durante la gravidanza o che accadono durante il parto: asfissia perinatale o disabilità che non sono sempre diagnosticabili con ecografie e altri esami.

A scendere in campo a sostegno della tesi portata avanti dai due ricercatori di bioetica c’è solo il direttore del giornale, Julian Savulescu, che scrive: “Come direttore vorrei difendere la pubblicazione. Gli argomenti presentati, in realtà, sono ampiamente non nuovi e sono stati trattati ripetutamente nella letteratura accademica e in pubblico da filosofi e bioetici eminenti, fra cui Peter Singer, Michael Tooley e John Harris in difesa dell’infanticidio, che gli autori chiamano aborto post-natale”. Nonsembrerebbe un’argomentazione convincente, né tanto meno è necessario stupirsi se alla rivista medica siano arrivate mail di protesta e di indignazione. “Lo scopo della rivista non è affermare la verità o promuovere qualche legge morale. – continua Savulescu – E’ di presentare opinioni ragionevoli basate su premesse diffusamente accettate. I due autori sono stati minacciati personalmente, il Journal ha ricevuto email di insulti, per lo più anonime, per la decisione di pubblicare”.

In Italia “L’Avvenire”, quotidiano ecclesiastico, ha parlato di “sgomento” per le tesi di Minerva e Giubilini: “La teorizzazione dell’infanticidio in Italia fa ancora orrore (e meno male)”, scrive il quotidiano dei vescovi, che aggiunge: “A far scalpore non dovrebbe essere solo il contenuto del saggio, ma anche il prestigio accademico di cui godono certe argomentazioni, e le carriere a cui si accompagnano”. Non tutto quello che è scienza è accettabile.

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