CASERTA. Vasta operazione dei carabinieri, polizia e Guardia di Finanza di Caserta, coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli, che ha portato all’esecuzione di 44 ordinanze di custodia cautelare nei confronti di esponenti del clan Belforte di Marcianise.
Le indagini, scaturite dal sequestro della contabilità e degli elenchi di imprenditori estorti e affiliati, hanno permesso di ricostruire l’organigramma, le attività illecite ed il modus operandi della pericolosa organizzazione camorristica, tanto potente da indurre il clan dei casalesi, nel corso degli anni ‘90, a concludere con i Belforte un patto di non belligeranza per la spartizione dei proventi delle attività estorsive nel comprensorio di Caserta, Marcianise ed il comprensorio immediatamente contiguo al capoluogo.
Di assoluto rilievo il ruolo assunto negli ultimi anni dalle mogli dei capiclan, condannati a lunghe pene detentive e reclusi in regime di 41 bis, le quali avevano assunto la reggenza dell’organizzazione, gestendone anche la cassa comune, garantendone così la perdurante vitalità.
Eseguiti, in varie provincie del centro e sud Italia, anche dei sequestri preventivi di beni mobili ed immobili, per un valore di oltre 10 milioni di euro, e di oltre 250 rapporti bancari, appartenenti a persone o società riconducibili ai componenti dei nuclei familiari degli arrestati.
GLI ARRESTATI. Giovanni Anziano, 44 anni, detto “Giannaniello”; Salvatore Belforte, 52 anni, detto “Salvatore Mazzacane”; Camillo Bellopede, 32 anni, alias “Tarzan”; Raffaele Bellopede, 57 anni; Francesco Braccio, 48 anni, detto “Cap ‘e cemento”; Antonio Bruno, 55 anni, detto “Carusone”, Anna Bucolico, 77 anni, detta “Befana” o “Zi Nannina”; Gennaro Buonanno, 63 anni, detto “Gnocchino”; Bruno Buttone, 40 anni; Claudio Buttone, 30 anni; Maria Buttone, 53 anni, moglie del boss Domenico Belforte; Giovanni Capone, 47 anni; Pasquale Cirillo, 41 anni, detto “Caprariello”; Angelo De Matteo, 53 anni, detto “’o Curto”, Vincenzo De Simone, 45 anni, detto “’O Pigmeo”; Giuseppe Della Medaglia, 48 anni, detto “Peppe ‘e Marcianise” oppure “’O Cinese”; Anna Concetta Della Valle, 60 anni; Antonio Della Ventura, 48 anni, alias “’O Cuniglio”; Fulvio Della Ventura, 30 anni; Giuseppe Feola, 56 anni, detto “Peppe ‘o napulitano”; Ciro Gargiulo, 62 anni, detto “Scupella”; Riparato Golino, 43 anni; Giuseppe Iovinella, 46 anni; Alessandro Menditti, 39 anni; Andrea Menditti, 38 anni, detto “Recchia a cuppino”; Fabrizio Menditti, 33 anni; Giovanni Musone, 48; Vittorio Musone, 61 anni, detto “Mino”; Felice Napolitano, 48 anni, alias “Capitone”; Albina Natale, 30 anni; Filippo Petruolo, 42 anni, detto “L’avvocato”; Antimo Piccolo, 42 anni, detto “Ben Hur”; Gaetano Piccolo, 53 anni, detto “’u ceneraiuolo”; Gaetano Piccolo, 52 anni, detto “Tavernello”; Clemente Daniele Rivetti, 40 anni; Antonio Rondinone, 56 anni; Francesco Salzano, 58; Francesco Severi, 42 anni, detto “Ciccio ‘a nera”; Giuseppe Sparaco, 44 anni; Pasquale Squeglia, 32 anni, detto “’o sgu” oppure “core ‘nganna”; Luigi Trombetta, 56 anni; Antonio Zarrillo, 44 anni, detto “Mula”; Concetta Zarriello, 47 anni, moglie del boss Salvatore Belforte; Francesco Zarrillo, 43 anni, detto “Surocchia”.
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L’INDAGINE.
L’imponente operazione di polizia giudiziaria è frutto di una penetrante indagine, coordinata dalla Dda di Napoli, che ha permesso di ricostruire la geografia criminale del comprensorio di Caserta, Marcianise e zone limitrofe, dall’anno 2005 ad oggi, analizzando il modus operandi e la composizione di una delle più potenti cosche camorristiche della provincia, il clan Belforte protagonista, tra gli anni ’90 e gli inizi del 2000, di una sanguinosissima faida con l’opposto clan dei Piccolo ,detti i “Quaqquaroni”, con il quale aveva conteso il controllo delle attività illecite nell’area che comprende il capoluogo e tutti i comuni immediatamente ad esso limitrofi.
IL PATTO CON I CASALESI. Il clan Belforte, già federato nella Nco di Raffaele Cutolo, nel corso degli anni ‘90 era divenuto tanto potente, per capacità militare ed organizzazione, da indurre il “clan dei casalesi”, nonostante l’alleanza con i Piccolo, a concludere con esso un patto di non belligeranza e raggiungere un accordo per la spartizione al 50% dei proventi delle attività illecite, soprattutto estorsive, nel comprensorio di Marcianise e comuni limitrofi. E, nonostante i numerosi procedimenti giudiziari che hanno investito il clan Belforte negli ultimi anni, con l’arresto di decine di affiliati e le pesanti condanne che hanno colpito i suoi massimi esponenti, tra cui i capi indiscussi, i fratelli Domenico e Salvatore Belforte, detenuti in regime di 41 bis, è stata rilevata la sua piena e perdurante vitalità criminale, operatività e pericolosità.
IL PIZZO. Le indagini hanno tratto origine dal rinvenimento, in diverse e distinte circostanze, di eccezionali fonti documentali, costituite da pen drive, supporti informatici ed elenchi, costituenti la “contabilità” del clan Belforte. In essa, infatti, erano annotati con cura manageriale, l’elenco degli imprenditori e degli operatori economici taglieggiati; l’ammontare delle somme da essi versate nelle canoniche scadenze di Natale, Pasqua e Ferragosto; i nominativi degli affiliati, spesso indicati anche con i loro soprannomi, a cui erano corrisposti gli stipendi, il cui importo variava, dai 1-1500 ai 2500 euro, in relazione al loro ruolo ed alla loro importanza nelle gerarchie dell’organizzazione.
I PENTITI. Lo straordinario valore investigativo della documentazione sequestrata e la certosina opera di ricostruzione, che ha lungamente ed incessantemente impegnato la Procura Distrettuale di Napoli e gli investigatori del comando provinciale dei carabinieri di Caserta e della Questura di Caserta, poi, ha trovato ulteriore riscontro nelle dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia intranei all’organizzazione, alcuni dei quali con ruoli apicali, da cui è emerso che il clan dei Mazzacane, nonostante i lunghi periodi di detenzione sofferti dai germani Belforte, potendo contare su un nucleo agguerrito di affiliati, ha continuato a controllare in regime monopolistico le attività criminali nel territorio di Caserta, Marcianise e zone limitrofe. Infatti, secondo quanto emerso dalle indagini, la continuità nella reggenza del clan e nella gestione degli affari illeciti è stata garantita dal pieno coinvolgimento e dalla partecipazione, con un ruolo apicale, di Maria Buttone e Concetta Zarrillo, mogli, rispettivamente, di Domenico e Salvatore Belforte.
SI CONCORDAVA AMMONTARE DELLE TANGENTI. La persistenza dell’organizzazione, la sua capacità di intimidazione ed il conseguente stato di assoggettamento omertoso, diffuso tra le popolazioni del comprensorio controllato dai Belforte, è testimoniato dagli innumerevoli episodi estorsivi emersi nel corso dei numerosi procedimenti giudiziari che hanno riguardato gli affiliati dei Belforte. Infatti, essi hanno rivelato l’esistenza di un sistema tanto capillare e collaudato per cui le vittime delle estorsioni, soprattutto gli imprenditori locali, quasi sempre pervicacemente ostinati negli interrogatori resi alle forze dell’ordine a negare gli episodi che li vedevano coinvolti, anche di fronte alle più evidenti contestazioni, prima ancora di avviare un cantiere, si “mettevano a posto con Marcianise”, cioè si presentavano al cospetto dei capi dell’organizzazione per concordare preventivamente l’ammontare del pizzo, evitando così l’inconveniente di dovere subire i raid degli emissari del clan, con il conseguente corollario, pericoloso ed antieconomico, di intimidazioni agli operai, danneggiamenti e blocchi dei lavori.
TUTTE LE DITTE DELLA ZONA DOVEVANO PAGARE. Secondo quanto confermato anche dai collaboratori di giustizia, puntualmente riscontrato nella “contabilità” sequestrata al clan, le ditte che avviavano opere edilizie nella zona di Caserta, San Nicola, San Marco Evangelista, Capodrise, Marcianise, Recale, San Prisco erano costrette a pagare. I proventi delle estorsioni ai cantieri edili confluivano in una cassa comune, per essere ridistribuiti attraverso gli stipendi pagati agli oltre cento affiliati al clan, o impiegati per fronteggiare le sempre crescenti spese legali che essi dovevano sostenere, ovvero reimpiegati in attività illecite quali l’acquisto di droga ed armi.
L’ORGANIZZAZIONE “AZIENDALE” DEL CLAN. L’esame della documentazione sequestrata e le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia hanno evidenziato come il clan Belforte fosse organizzato con modalità “aziendali”, con la precisa distribuzione dei compiti a ciascun affiliato, la corresponsione di uno stipendio commisurato alla ‘qualità’ ed alla ‘quantità’ del contributo prestato all’associazione, con la previsione di gratifiche e tredicesime mensilità, e la redazione di un bilancio delle entrate e delle uscite. Al riguardo, le entrate erano costituite prevalentemente – essendo emersi dalle indagini svolte nel recente passato esempi di impresa camorrista del clan marcianisano operante soprattutto nel settore dei rifiuti – dall’attività estorsiva, effettuata a tappeto su tutte le attività imprenditoriali e commerciali del territorio di competenza del clan: sia nelle liste manoscritte sia nelle pen drive, le ditte sottoposte ad estorsione erano elencate prima in ordine alfabetico, poi raggruppate con riferimento dell’affiliato incaricato di riscuotere le rate estorsive; inoltre veniva indicata la somma estorsiva di cui era prevista la riscossione e la periodicità delle scadenze (di solito, Natale, Pasqua e ferragosto).
LA “CONTABILITA'”. Ciascun affiliato riceveva giornalmente un foglietto su cui venivano riportate le ditte da ‘visitare’ per riscuotere le rate estorsive. Le somme riscosse a titolo estorsivo non venivano trattenute dagli affiliati, ma consegnate ai capi-clan e versate in una cassa comune, dalla quale poi i capi del clan attingevano per le uscite. L’indagine ha permesso anche di ricostruire l’organigramma, le gerarchie e le dinamiche interne al clan Belforte. I capi indiscussi dell’organizzazione, come detto, sono i fratelli Belforte. Essi, in attuazione della regola, secondo la quale “chi sta fuori quello comanda”, nel corso degli anni, hanno affidato la reggenza del clan, di volta in volta, agli associati di spicco dell’organizzazione che in quel frangente si trovavano liberi. E, infatti, accanto a loro, ed in posizione assolutamente non subordinata, si pongono le figure di Bruno Buttone, Vittorio Musone, Gaetano Piccolo, Luigi Trombetta. Poi vengono, in posizione subordinata, le figure dei luogotenenti del clan, quali Antonio Bruno, Antonio Della Ventura, Fulvio Della Ventura, Giuseppe Feola, Giuseppe Iovinella, Alessandro Menditti, Andrea Menditti, Fabrizio Menditti, Felice Napolitano, Carmine Petruolo, Filippo Petruolo, Gaetano Piccolo, soprannominato “tavernello”, Antonio Raucci, detto “kunascio”, Clemente Daniele Rivetti, Fabio Rivetti, Francesco Salzano, Francesco Severi, Francesco Zarrillo, Albina Natale, Anna Concetta Della Valle.
LE MOGLI DEI BOSS. Ma le indagini hanno evidenziato anche il particolare rilievo assunto all’interno del clan dalle donne ed in particolare da Maria Buttone, Concetta Zarrillo, Anna Concetta Della Valle, Natale Albina, rispettivamente mogli di Domenico Belforte, Salvatore Belforte, Vittorio Musone e Bruno Buttone. Inoltre, Maria Buttone è la sorella di Bruno Buttone, Concetta Zarrillo è la sorella di Francesco Zarrillo. In particolare, Maria Buttone, Zarrillo e Concetta e Anna Concetta Della Valle hanno ormai assunto le veci dei loro consorti, costretti a lunghi periodi di detenzione, reggendo il clan al posto dei congiunti. Infatti, se inizialmente si limitavano a trasmettere ai reggenti ed agli affiliati i desiderata dei capi, progressivamente hanno assunto compiti di diretta gestione come decidere quali imprese sottoporre ad estorsione; ritirare direttamente presso il loro domicilio rate estorsive dagli imprenditori di calibro maggiore; comporre le liti tra i reggenti e gli affiliati del clan; distribuire stipendi agli affiliati ed alle famiglie dei detenuti.
IL PATRIMONIO GESTITO DAI PIU’ STRETTI FAMILIARI. I vertici del clan Belforte, resisi conto che i reggenti dell’organizzazione, incaricati anche di tenerne la cassa, spesso facevano la “cresta” sulle entrate, per evitare tali “indebite” appropriazioni, avevano pensato di coinvolgere direttamente i membri della propria famiglia nella gestione del “patrimonio” del clan, con ciò implicando anche il compito di intrattenere i rapporti con i grossi estorti. Per cui, con il trascorrere degli anni ed il prolungarsi della detenzione dei capi del clan, l’apporto fornito dalle mogli è divenuto essenziale per l’esistenza stessa dell’organizzazione.
SEQUESTRI. Nel corso dell’operazione, è stato eseguito, da parte del nucleo di polizia tributaria di Caserta e della compagnia di Marcianise, con l’ausilio del Servizio centrale investigazione criminalità organizzata di Roma e del Gico del nucleo di polizia tributaria di Napoli, anche il sequestro di numerosi beni riconducibili agli indagati e provento dell’attività delittuosa. Tra i beni attinti dalla misura, una lussuosa villa con piscina in pieno centro abitato nonché numerosissime autovetture anche di piccola cilindrata, utilizzate per non destare sospetti in caso di controlli su strada da parte delle forze di polizia.
250 INDAGATI TRA PERSONE E SOCIETA’. Il decreto di sequestro è stato emesso d’urgenza, dai magistrati della Direzione Distrettuale Antimafia a conclusione di articolate e complesse indagini patrimoniali delegate ai reparti della Guardia di Finanza, svolte nei confronti di oltre 250 soggetti economici (persone, imprese individuali e società), riconducibili ai componenti dei nuclei familiari degli arrestati, per aggredire i beni e i capitali risultati essere di valore sproporzionato rispetto ai redditi dichiarati.